Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/155


parte prima. 147

guardare sovr’essa con fredda e torbida maraviglia, ma di mirare nel suo seno profondo come nel petto di un amico. Tu schieri dinanzi a me l’infinita varietà de’ viventi, e m’insegni a conoscere i mie fratelli per entro i taciti cespugli, e nell’aria e nell’acque. E quando la procella mugghia per la foresta e prostende gli ardui pini, che ruinando schiantano e spargono a terra tutta la selva soggetta; e le valli cavernose rintronano orrendamente della loro caduta, allora tu mi fai ricoverare nelle spelonche, e qui riveli me a me medesimo; qui tutte mi si disascondono le occulte maraviglie dell’anima mia. E intanto la luna sorge limpida nel cielo, che si riapre e serena, ed io veggo fuor degli umidi cespugli e su per le ripide balze muovere le ombre argentee dell’età andate, che tacite aleggiandomi intorno, temperano l’austero diletto della meditazione.

Ahi! ed ora io sento che non ci è per l’uomo nessun bene scevro di amarezze. Perchè veramente la mi hai dato quest’animo che mi leva a partecipare delle gioie degli immortali, ma poi tu mi hai messo a’ fianchi questo compagno, del quale io non so oramai più far senza; costui che freddo e impudente mi umilia dinanzi a me stesso, e coll’alito di una parola inaridisce e riduce a nulla tutti i tuoi doni. Egli mi tiene accesa nel petto una forbida fiamma che affannosamente mi caccia verso quella soave bellezza: ond’io trascorro insaziabile dal desiderio al godimento, e dopo il godimento sospiro il desiderio.