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parte prima. 135

Marta. Su, narratemi com’egli chiudesse la sua vita.

Mefistofele. Egli giace in Padova sotterrato in sagrato, vicino a Sant’Antonio. Ivi è il freddo letto nel quale egli dorme per sempre.

Marta. E non recate voi altro?

Mefistofele. Anzi una grande e grave preghiera: piacciavi di far cantare trecento messe per l’anima sua. Del resto, le mie saccocce son vôte.

Marta. Che! non una medaglia? non una gemma? Quel ch’ogni più meschino artigianello salva nel fondo della valigia, in testimonio della sua fede, e vuol piuttosto patirsi la fame, vuol pitoccare....

Mefistofele. Madama, io ne sono dolente sino all’anima. Ma per verità egli non ha scialacquato a sproposito i suoi danari; e inoltre si pentì amaramente de’ falli suoi; sì invero, e più ancora deplorò la sua nimica fortuna.

Margherita. È egli possibile che gli uomini soggiacciano a tante miserie? Io gli dirò certo molti requiem.

Mefistofele. Meritereste proprio di maritarvi presto. Siete una deliziosa creatura.

Margherita. Oh, no; egli c’è tempo.

Mefistofele. Se non un marito, abbiatevi per ora un galante.

Margherita. Non si usa nel paese.

Mefistofele. O sì o no che si usi, lo si fa nullameno.

Marta. Su, raccontate....

Mefistofele. Io gli sono stato a canto al letto; ch’io non dirò che fosse propriamente letame; era paglia mezzo fradicia; non pertanto egli finì da buon cri-