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     e la difende, povera
di frondi, selva algente,
che albeggia di cadente
neve, che imbianca il ciel.

     105La pace, che vi godono
i candidi pastori,
ahi! mi rammenta, o Clori,
la mia passata etá.
     Ed il dolor le lacrime
110dal mesto ciglio elice,
ché quell’etá felice
piú da tornar non ha.

     Quel malignetto satiro,
che di Cefiso all’acque
115da quella Grazia nacque,
che Rabenèr lattò;
     e che a te, Giulio impavido,
Fiacco novello, i versi,
d’attico sale aspersi,
120su del Tarpeo dettò,

     che giá temuti vinsero
al paragon Settano;
m’offre la penna invano
tinta di tosco fiel,
     125che gli temprò, con ferrea
freccia vendicatrice,
la bella genitrice,
a l’Amor suo crudel.

     Un cuor gli dèi mi diedero
130amico della pace,
che voglia contumace
al ben nutrir non sa,
     che sente e che la misera,
ahi! troppo ancor negletta,
135negli orror suoi rispetta
afflitta umanitá.