Pagina:Eneide (Caro).djvu/58

[383-407] libro i. 17

E tu nèl promettesti. Or come, padre,
Il ciel cangia destino, e tu consiglio?
385Questa sola credenza era cagione
Di consolarmi in parte de l’eccidio
De la mia Troia, ch’io soffrissi in pace
Tante ruine sue, fato con fato
Ricompensando. Or la fortuna stessa,
390E via più fera, la persegue e dura.
E quanto durerà, signore, ancora?
Tal non fu già d’Antenore l’essiglio;
Ch’ei non più tosto de l’achive schiere
Per mezzo uscío, che con felice corso
395Penetrò d’Adria il seno; entrò securo
Nel regno de’ Liburni; andò fin sopra
Al fonte di Timavo; e là ’ve il fiume
Fremendo il monte intuona, e là ’ve aprendo
Fa nove bocche in mare, e, mar già fatto,
400Inonda i campi e rumoreggia e frange,
Padoa fondò, pose de’ Teucri il seggio,
E diè lor nome, e le lor armi affisse.
Ivi ridotto il suo regno, e composto
Quïetamente, or lo si gode in pace.
405E noi, noi del tuo sangue, e che da te
Avemo anco del cielo arra e possesso,
Ad una sola indegnamente in ira,

Caro. — 2. [237-251]