Pagina:Eneide (Caro).djvu/354

[320-344] libro vii. 313

320Ci siam venuti, discacciati e privi
D’un regno de’ maggiori e de’ più chiari,
Ch’unqua vedesse d’orïente il sole.
Da Dárdano e da Giove il suo legnaggio
Ha quella gente, e quel troiano Enea
325Ch’a te ne manda. La tempesta, i fati,
E la ruina che ne’ campi idèi
Venne di Grecia, onde l’Europa e l’Asia
E ’l mondo tutto sottosopra andonne,
Cui non è conta? chi sì lunge è posto
330Da noi, che non l’udisse? o che da l’acque
De l’estremo Oceáno, o che dal foco
De la torrida zona sia diviso
Da la nostra notizia? Il nostro affanno
Tal fece intorno a sè diluvio e moto,
335Che scosse ed allagò la terra tutta.
Da indi in qua dispersi e vagabondi
Per tanti mari, un sol picciol ridotto
Agli Dei nostri, un lito che n’accolga,
Non da nemici, un poco d’acqua e d’aura,
340Lassi! quel ch’ogn’uom ha, cercando andiamo.
Non disutili, credo, e non indegni
Sarem del regno vostro: a voi non lieve
Ne verrà fama; e d’un tal merto tanto
Vi sarem grati, che l’ausonia terra


[216-232]