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266 l’eneide. [520-544]

520Restasse in preda. Austro tre notti intere
Con la sua correntía per l’ampio mare
Mi trasse a forza. Il quarto giorno a pena
Discoverta l’Italia, a poco a poco
M’accostava a la terra; e giunto omai
525Così com’era ancor di veste grave
E stanco e molle, con l’adunche mani
M’aggrappava a la ripa, e salvo fòra:
Se non ch’ignara e fera gente incontro,
Com’a preda marina, mi si fece,
530E col ferro m’ancise. Or lungo ai liti
Vassene il corpo mio ludibrio a’ venti
E scherzo ai flutti. Ed io, signore invitto,
Per la superna luce, per quell’aura
Onde si vive, per tuo padre Anchise,
535Per le speranze del tuo figlio Iulo,
Priegoti a sovvenirmi; o che di terra
Mi cuopra (come puoi) cercando il corpo
Per la spiaggia di Velia, o in altra guisa,
S’altra ne ti sovviene, o ti si mostra
540Da la tua diva madre; chè non senza
Nume divino un tal passaggio imprendi.
Porgimi la tua destra, e teco trammi
Oltre a quell’acque, perchè morto almeno
Pace truovi e riposo. Avea ciò detto,


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