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[920-944] libro v. 231

920Da Bèröe, che di corpo egra languendo
Stassi, e sdegnando che a quest’atto sola
Nosco non intervenga. E qui si tacque.
     Le madri paventose e dubie in prima
Con gli occhi biechi rimirâr le navi,
925Sospese le meschine infra l’amore
Di godersi la terra, e la speranza
Che perdean de’ reami a cui chiamate
Eran dal fato. Intanto alto in su l’ali
La Dea levossi, e tra le opache nubi
930Per entro al suo grand’arco ascese, e sparve.
     Allor dal mostro spaventate, e spinte
Da cieca furia, s’avventâr gridando:
E di faci e di fronde e di virgulti
Spogliaro altre gli altari, altre infocaro
935I legni sì, che in un momento appresi
I banchi, i remi e l’impeciate poppe
Mandâr fiamme e scintille e fumo al cielo.
Portò di questo incendio Eumèlo avviso
Là ’ve al sepolcro era la gente accolta,
940E de l’incendio stesso un atro nembo
Ne diè fumando e scintillando indizio.
     Ascanio il primo (sì com’era avanti
Duce del corso) al mar si spinse in guisa
Che i suoi maestri impallidîr per téma,


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