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dimetteva da professore dell’Università. E un altro fu provocato per il fatto che fra quei professori c’era il canonico Audisio, già preside di Superga e canonico di San Pietro. Egli non si dimise peraltro.

La capitale si era alla meglio accomodata a Roma.

I ministeri erano così distribuiti: Interno e Presidenza, nel monastero di San Silvestro in Capite, in via della Mercede; ministero della Guerra, nel convento dei SS. XII Apostoli, con ingresso in via della Pilotta; ministero degli Esteri, al palazzo Valentini, ove è ora la Prefettura; ministero delle Finanze, al convento della Minerva, con ingresso in via del Seminario; ministero del Commercio, in via della Stamperia; ministero di Grazia e Giustizia, nel palazzo di Firenze; ministero della Marina, nel convento di Sant’Agostino; ministero dei Lavori Pubblici, al palazzo Braschi; ministero della Istruzione, in piazza Colonna, sopra alla Posta. La direzione del Genio militare era a San Silvestro al Quirinale, i tribunali ai Filippini.

Il ministro Gadda aveva terminato la sua missione di commissario, ma quanti lagni ebbe a sentire per i locali preparati! Sella non volle saperne di andare alla Minerva, e fra i ministri fu il più esigente. Gli furono proposti dei cambiamenti, ma nessuna proposta andavagli a genio, e finalmente fu stabilita la costruzione del nuovo ministero delle Finanze, e si presero tre anni di tempo. Intanto gli uffici, meno il segretariato generale e una sezione, credo, sarebbero rimasti a Firenze. Neppure il Lanza era stato contento dei locali di San Silvestro in Capite e fu acquistato il palazzo Braschi per l’Interno. Il palazzo che apparteneva ad Augusto Silvestrelli costò 1,500,000 lire. Al Visconti Venosta non piaceva il palazzo Valentini; per mezzo di una permuta con due conventi, quello dei Cappuccini e di Santa Maria Maggiore al Quirinale, si ottenne dalla lista civile la Consulta per gli Esteri. Il palazzo Valentini, però, era costato lo stesso del palazzo Braschi, e anche i lavori avevano importato spese, ma in quei momenti ci si badava poco. Il Ricotti solo non si lagnava della Pilotta, eppure il ministro della guerra stava in una stanza appena degna di un capo divisione.

Era speranza generale a Roma, che la Camera e il Senato tenessero qui alcune sedute in luglio, ma non fu possibile. A Montecitorio non erano ancora pronte molte cose, fra l’altre l’illuminazione a gaz, e al palazzo Madama vi erano fuori ancora le impalancate. Anche i lavori del Quirinale erano stati fatti con troppa fretta, e il Re stesso vi aveva una incomoda abitazione. Eppoi la scarsezza degli alloggi per gl’impiegati era l’ostacolo maggiore a un rapido trasporto di tutti gli uffici. Il municipio aveva richiesto dai cittadini le denunzie dei quartieri vuoti e delle camere ammobiliate, ma di queste ve n’erano circa duemila, e gl’impiegati sommavano a molte e molte migliaia. Si studiava anche il piano regolatore per costruire subito il resto del quartiere incominciato da monsignor De Merode, e quelli dell’Esquilino e del Macao, ma ci voleva tempo, e per tutta quell’estate Roma rimase capitale di nome, ma non di fatto. I ministri vi venivano di tanto in tanto, ma risiedevano a Firenze, e il Re stette assente dai primi di luglio alla fine di novembre.

Intanto Roma si ripuliva, o almeno i proprietari erano costretti nelle vie principali a ripulire le facciate delle case, e i molti giornali sbraitavano perchè la città prendesse un aspetto decente e si costringessero i cittadini a rispettare certe norme, che erano in vigore in tutte le città civili. Peraltro questi lamenti, che il municipio cercava di far cessare, applicando regolamenti, restavano lettera morta, perchè il popolo si opponeva ad essi con una grande forza d’inerzia. Ma se era in questo indisciplinato, prima per indole, e in secondo luogo, perchè non era assuefatto al rispetto dei regolamenti municipali, era però obbedientissimo alle leggi. In quell’anno non vi fu un renitente alla leva e i cittadini si sobbarcarono con grande slancio al servizio imposto loro come guar-