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Lo squadrone romano si esercitava nel cortile del palazzo Poli e una volta andò anche al Macao.

Rimaneva la quistione del sindaco, perchè il principe Doria non voleva accettare quell’ufficio; ma intanto essa rimaneva sospesa e per le feste di Firenze in occasione della offerta al duca d’Aosta della Corona di Spagna, e per l’apertura del nuovo Parlamento italiano, al quale erano rappresentati i 14 collegi di Roma e delle provincie.

Vittorio Emanuele nell’inaugurare a Firenze il 5 dicembre il Parlamento Italiano, nel quale per la prima volta Roma era rappresentara, pronunziava un discorso che fece fremere di gioia tutti i cittadini della Penisola. Mi pare che questa cronaca degli avvenimenti di quel tempo sarebbe incompleta, se non vi figurasse il patriottico discorso del Re.


«Signori Senatori, Signori Deputati,

«L’anno che volge al suo termine ha reso attonito il mondo per la grandezza degli eventi che niun giudizio umano poteva prevedere. Il nostro diritto su Roma noi lo avevamo sempre altamente proclamato e di fronte alle ultime risoluzioni cui mi condusse l’amore della patria, ho creduto dover mio di convocare i nazionali comizii (Lunghissimi applausi). Con Roma capitale d’Italia, ho sciolta la promessa e coronata l’impresa che 23 anni or sono veniva iniziata dal magnanimo mio genitore (Applausi).

«Il mio cuore di Re e di figlio prova una gioia solenne nel salutare qui raccolti per la prima volta tutti i rappresentanti della nostra patria diletta e nel pronunciare queste parole: L’Italia è libera ed una, ormai non dipende più che da noi il farla grande e felice (Applausi). Mentre noi qui celebriamo questa solennità inaugurale dell’Italia compiuta, due grandi popoli del continente, gloriosi rappresentanti della civiltà moderna, si straziano in una terribile lotta. Legati alla Francia ed alla Prussia dalla memoria di recenti e benefiche alleanze, noi abbiamo dovuto obbligarci ad una rigorosa neutralità, la quale ci era imposta dal dovere di non accrescere l’incendio e dal desiderio di poterci sempre interporre, con parole imparziali, fra le parti belligeranti.

«E questo dovere d’umanità e di amicizia, noi non cesseremo dall’adempierlo, aggiungendo i nostri sforzi a quelli delle altre potenze per metter fine ad una guerra, che non avrebbe mai dovuto rompersi fra due nazioni, la cui grandezza è egualmente necessaria alla civiltà del mondo.

«L’opinione pubblica, consacrando col suo appoggio questa politica, ha mostrato una volta di più che l’Italia libera e concorde è per l’Europa un elemento d’ordine, di libertà e di pace (Applausi).

«Quest’attitudine agevolo il compito nostro, quando per la difesa e integrità del territorio nazionale e per restituire ai Romani l’arbitrio dei loro destini, i miei soldati, aspettati come fratelli e festeggiati come liberatori, entrarono a Roma. Roma, reclamata dall’amore e dalla venerazione degli Italiani, fu resa a se stessa, all’Italia, e al mondo moderno.

«Noi entrammo in Roma in nome del diritto nazionale, in nome del patto che vincola tutti gli Italiani ad unità di nazione; vi rimarremo mantenendo le promesse che abbiamo fatto solennemente a noi stessi: libertà della Chiesa, piena indipendenza della Sede pontificia nell’esercizio del suo ministero religioso, nelle sue relazioni con la cattolicità (Applausi).

«Su questa base e dentro i limiti dei suoi poteri il mio Governo ha già dato i provvedimenti iniziali, ma per condurre a termine la grand’opera si richiede tutta l’autorità del Parlamento.

«L’imminente trasferimento della sede del Governo a Roma ci obbliga a studiare il modo di ridurre alla massima semplicità gli ordinamenti amministrativi e giudiziari, e rendere ai comuni e alle provincie le attribuzioni che loro spettano (Applausi).

«Anche la materia degli ordinamenti militari e della difesa nazionale vuole essere studiata, tenendo conto della nuova esperienza di guerra. Dalla terribile lotta che tiene tuttora attenta e sospesa l’Eu-