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tissimo e la morte di quel dotto uomo fu attribuita al dolore risentito per quel fatto. Fu detto anche che monsignor Carini era caduto in disgrazia presso il Papa. Non era vero, anzi la famiglia Carini nel ringraziar coloro che avevano dato prova di simpatia per l’estinto accompagnandone la salma, dicharò che al defunto non fu mai rivolto nessun appunto nel disimpegno delle sue funzioni «e che il Santo Padre, anche recentissimamente, come sempre per lo avanti, ebbe per lui delle parole di stima e di ogni fiducia».

È molto possibile che il Papa, non si fosse lasciato scuotere dalle insinuazioni contro monsignor Isidoro, ma la sua morte fu certo cagionata da un dolore profondo, e se parve una fiaba la notizia che egli fosse stato ucciso dal veleno, parve a tutti ammissibile che l’angoscia avessegli troncata l’esistenza in piena forza virile.

Se la morte del Carini afflisse largo numero di cittadini, l’uccisione del marchese Filippo Berardi destò un vero grido d’orrore. Il giorno 9 marzo, mentre il marchese sorvegliava, con la sua solita cura i lavori dei nuovi edifizi del manicomio, alla salita di Sant’Onofrio, un pazzo, creduto innocuo, con una mazzola lo colpi sulla testa. Nulla valse a salvare il ferito, e lo strazio della famiglia, che assistè all’agonia del suo capo, accrebbe anche l’orrore per il delitto.

Il giorno ii marzo l’on. Biancheri compiva il suo giubileo presidenziale e il Re in quella occasione gli conferi il collare della Annunziata, e gli impiegati della Camera gli presentarono una pergamena artistica.

Per il genetliaco del Re furono inaugurate nuove sezioni nel bel Museo delle Terme Diocleziane, ordinato dal comm. Felice Bernabei. I Sovrani e pochi invitati poterono visitarle. Le nuove sezioni comprendevano le celle dei certosini, e in esse, oltre le pregevoli opere di scultura, si vedevano una quantità d’oggetti d’oreficeria, trovati nel territorio dei Piceni, e che costituivano un vero tesoro per l’importante museo. Da molte parti si aspettava per la festa del Re una larga amnistia dei condannati per i moti di Lunigiana e di Sicilia, invece essa fu molto limitata. Il Re condonò le pene a tre anni, le altre furono ridotte di un terzo. Dopo pochi giorni era presentato al Sovrano un grosso volume in pelle rossa, contenente 70,000 firme di siciliani imploranti la grazia per i condannati, che ancora espiavano lunghe pene.

L’idea di dare grande solennità alle feste del settembre aveva vinto la mano. Già il collocamento della prima pietra del monumento a Garibaldi sul Gianicolo fu fatta con molta pompa presenti i Sovrani, e verso la fine di marzo il Re riceveva la commissione per il terzo congresso ginnastico, composta del generale Heusch, del duca Cesarini e del senatore Todaro, la quale gli offri la presidenza onoraria del Congresso, che doveva tenersi appunto in settembre.

Ricorreva il 25 aprile il IV centenario di Torquato Tasso e su nel convento di Sant’Onofrio ov’egli terminò l’angustiata esistenza, fu ordinata dal prof. Guido Biagi, per cura del Ministero della Pubblica Istruzione, una bella mostra tassesca, ricca di codici tolti alle biblioteche pubbliche e private e di ricordi del poeta. La inaugurarono i Sovrani, e il professor Chiarini pronunziò un bel discorso. Il Re e la Regina trovandosi a Sant’Onofrio visitarono pure l’ospedale del Bambin Gesù.

L’on. Baccelli aveva indetto una gara fra gli studenti delle università del Regno per un componimento sul Tasso. Nel pomeriggio del 25 vi fu la premiazione in Campidoglio. Ruggero Bonghi doveva fare un discorso, ma già egli era travagliato dal male che pochi mesi dopo doveva trarlo alla morte, e il discorso di lui fu letto dal professor Chiarini.