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Subito si costituì un comitato di signore con una parte degli elementi di quello dell’albero di Natale, che prese il nome di «Soccorso e Lavoro». Il Re dette 20,000 lire e il comitato, sotto la presidenza della principessa di Venosa, aprì cucine economiche, laboratori per le operaie, una sala per custodire i loro bimbi mentre esse erano occupate al lavoro, e alcune signore di quel comitato, fra cui la baronessa Elena Sonnino, assunsero il compito delle visite a domicilio per distribuire soccorsi là dove il bisogno era urgente. La Regina, aiutava validamente l’opera del comitato e oltre gl’innumerevoli sussidi che faceva distribuire dal ministero della Real Casa, dava generosamente, contristata anch’essa da tante sventure.

Sui primi dell’anno il Consiglio comunale votò l’aumento delle linee dei tram per il comodo e l’economia dei cittadini, e subito i cocchieri delle vetture pubbliche fecero sciopero e minacciarono disordini. A un primo tentativo di prepotenze cinquanta ne furono arrestati; ma lo sciopero continuò per diversi giorni e i pochi vetturini, che volevano attaccare, erano malmenati. Alcune vetture continuavano a fare il servizio con una guardia a cassetta, ma lo sciopero essendo divenuto generale, furono messe le guardie a guidare e dopo un comizio all’Eldorado, dopo aver passeggiato e gridato inutilmente per più giorni, i vetturini ripresero il servizio, senza aver ottenuto nulla.

Nel ministero era avvenuto un cambiamento sostanziale. Il senatore Luigi Ferraris aveva dato le dimissioni il primo dell’anno da ministro di Grazia e Giustizia, che erano state accettate. Gli fu conferita la carica di ministro di Stato; al posto del senatore Ferraris passò il Chimirri, che era all’Agricoltura e di questo ministero prese l’interim l’on. di Rudinì, avendo per sottosegretario di Stato l’on. Arcoleo.

Il marchese di Rudinì ebbe, come regalo di capodanno dall’imperatore Francesco Giuseppe, la gran croce dell’ordine di Santo Stefano. Questa alta onorificenza gli fu conferita in seguito alla conclusione del trattato di commercio con l’Austria-Ungheria, che attendeva ancora la sanzione del Parlamento; l’ottenne entro il mese di gennaio insieme con quello concluso con la Germania; il trattato con la Svizzera fu prorogato al 13 febbraio per dar tempo ai nostri delegati a Berna di discutere con quelli svizzeri.

Il duca d’Aosta, che era sempre di stanza a Firenze, e il duca degli Abruzzi si trattennero lungamente a Roma nell’inverno, ed ebbero accoglienze festosissime nella società romana. Il Circolo della Caccia dette un pranzo in loro onore, don Alfonso Doria offrì loro una caccia e un luncheon nella sua magnifica villa sul Gianicolo, e le signore che davano balli, erano molto lusingate quando e due giovani Altezze Reali accettavano i loro inviti.

Il 12 gennaio fu conclusa la convenzione per la cessione allo Stato della Galleria Torlonia. La convenzione fu firmata dalla principessa Anna Maria e dal principe don Giulio da un lato, e dall’altro dal ministro Villari e dal senatore Costa. La Galleria era stata lasciata alla città di Roma da don Giovanni Torlonia con testamento del 1829, e il Villari fece atto abusivo accettando di firmare la convenzione. In Consiglio comunale nacquero vivaci proteste, e l’on. Ferdinando Martini presentò subito una interpellanza alla Camera. La Galleria fu aperta per alcuni giorni al pubblico, che andò numeroso a visitarla, ma quel fatto della convenzione e i disordini della università di Napoli, cagionati dal prof. Scaduto, attizzarono di nuovo la guerra contro il ministro della Pubblica Istruzione. Egli era accusato di aver lasciato sperperare le gallerie fidecommissarie romane, dopo che alcuni quadri di quella Sciarra e di quella Borghese avevano preso il volo; di aver permesso che all’Università si commemorasse l’Oberdank; di aver ordinato che la teoria di Darwin fosse in-