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rivelava l’uomo giusto ed integro; egli lasciava le azioni del canepificio di Bologna, che costituivano la maggior parte del suo patrimonio, alle nipoti Masi e Amici; la moglie era creata usufruttuaria generale, ed erede il principe Paolo di Camporeale, che il Minghetti aveva educato con cura veramente paterna. A Guido Borromeo lasciò il prezioso nècessaire donatogli da Napoleone III; agli amici Bonghi, Spaventa, Brioschi, Morelli, Cavalletto, Visconti-Venosta, un ricordo. I suoi manoscritti legava alla biblioteca di Bologna.

Il duca d’Aosta, per disposizione del Re, venne a Roma per assistere ai funerali di Marco Minghetti. L’assoluzione del cadavere, per l’angustia della parrocchia dell’estinto, fu data nella chiesa di S. Maria degli Angeli. Seguivano il feretro tutte le notabilità di Roma, ove non si era mai veduto accompagnamento funebre più solenne di quello. La salma fu deposta in una sala della stazione ed accompagnata da una deputazione della Camera partì la sera per Bologna.

In dicembre il duca Torlonia insieme con donna Eleonora, che egli si compiaceva di associare anche alla sua vita pubblica, mise la prima pietra della grande scuola «Regina Margherita» in Trastevere, sull’area del già convento di Santa Cecilia; poco prima era stato inaugurato un tratto della via Palermo fino alla via Agostino Depretis, e difaccia si apriva al pubblico la Galleria Margherita, la prima che si vedesse a Roma. Il municipio aveva pure ordinato la demolizione del palazzetto Sciarra e faceva allargare via delle Muratte. I lavori del Corso Vittorio Emanuele erano energicamente proseguiti, cosicchè la città continuava a estendersi e a rimodernarsi; non oso dire abbellirsi, perchè divido l’opinione di molti che si sarebbe potuto far molto meglio, anche edificando quartieri salubri, perchè l’igiene non è nemica dell’estetica; ma le costruzioni furono fatte in fretta e con lo scopo di lucro, e quando c’è di mezzo il guadagno, al bello si guarda poco.

Se dunque Roma non si abbelliva, ampliavasi peraltro sempre e siccome la popolazione aumentava in media di 20,000 abitanti ogni anno, calcolavasi che di case ce ne sarebbe stato sempre maggiore bisogno.

Sulla fine dell’anno vi fu all’Assise un nuovo spettacolo per i frequentatori dei Filippini: i due fratelli Lopez, l’elegante Tommaso, già condannato come ricettatore dei milioni rubati alla sede della Banca Nazionale d’Ancona, e Filippo, notissimo a Napoli, comparvero sul banco degli accusati per aver fatto scontare a un certo Viola sei mesi di carcere, cui era condannato invece l’avvocato Bianchini. Tutte le antiche amiche dell’avvocato Lopez, e le amiche delle amiche si vollero levare il gusto di vederlo così caduto in basso e andarono alle sedute; ma i due Lopez furono assolti e le amiche non ebbero, come le frequentatrici dell’Assise di Ancona, la soddisfazione di assistere a svenimenti e altre scene dolorose.

Prima che l’anno terminasse, gli ambasciatori di Turchia, di Francia e d’Austria presentarono le lettere di richiamo e vennero a Roma Photiades Pascià, il signor de Mouhy e il barone de Bruk.

La grande notizia che correva a Roma agli ultimi di gennaio era quella sul viaggio in Oriente del Principe di Napoli. Egli aveva dato gli esami del secondo corso della scuola di guerra in presenza del Re, della Regina, del ministro della guerra, generale Ricotti, del general Pasi, primo aiutante di campo di Sua Maestà, del general Cosenz, capo dello stato maggiore, e dei suoi insegnanti, colonnello Osio, maggiore Morelli di Popolo e professori Morandi, Zambaldi e Perotti. Il Principe reale fu promosso sottotenente e addetto al 1° reggimento fanteria, che aveva stanza a Gaeta. La sera vi fu pranzo al Quirinale in onore del Principe, e vi assistevano tutti gli esaminatori e gl’insegnanti. L’ultimo dell’anno il Re conferì al Principe il collare dell’Annunziata. Ormai egli entrava in una nuova fase d’esistenza, che il viaggio in Oriente avrebbe iniziata.