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Una sera il ministro usciva dalla Minerva insieme col professore Struver quando s’imbatte nello Sbarbaro, che pare fosse esaltato dal vino. Lo Sbarbaro, vedendo il suo nemico, volle fargli il maggiore oltraggio, e gli sputò addosso. Il Baccelli non fu colpito, ma sporse querela e allora nei giornali incominciò una vera sbarbareide, cioè una polemica a base d’insulti e d’improperii.

Si fa il processo e il professore compare alla udienza con le manette, come un ladro. Il secondo giorno le manette gli sono tolte e uomini insigni depongono in suo favore. Nonostante è condannato a un mese di reclusione e a quattro mesi d’esilio; si appella ed è condannato di nuovo.

Un’altra lunga questione che occupò Roma nell’inverno del 1882, fu quella del monumento a Vittorio Emanuele. Più di trecento progetti erano stati esposti nei locali del Museo Agrario a Santa Susanna. La mostra, inaugurata dai Sovrani, era stata visitata da gran numero di gente e gli artisti avevano lungamente discusso sul merito dei diversi progetti. Il verdetto della Commissione era adunque atteso con viva impazienza, tanto più che molti concorrenti erano romani. La Commissione si adunò in aprile, e dopo lungo esame, assegnò il primo premio di lire 50,000 al progetto del signor Enrico Nenot, già pensionato dell’Accademia di Francia, il secondo di lire 30,000 a quello degli artisti Ettore Ferrari e Pio Piacentini, e il terzo al progetto di Stefano Galletti. La Commissione inoltre segnalò come degni di menzione i progetti del Becchetti del Montiroli, e di tre altri, ma non ne prescelse alcuno per l’esecuzione.

Se le discussioni erano state vive nel periodo di tempo dell’attesa, si fecero appassionate dopo che la Commissione si fu pronunziata, non tanto perchè nessuno dei progetti era stato prescelto, quanto perchè il primo premio era toccato ad un francese. Si arrivò fino a dire che la politica ci aveva messo la coda e col premiare un artista francese si era voluto attenuare l’impressione prodotta in Francia dalle feste per il centinario dei Vespri Siciliani, che appunto si celebravano in quei giorni a Palermo con molta pompa e molto sfoggio d’entusiasmo, suscitato principalmente dalla presenza di Garibaldi.

L’on. Martini si affrettò a far conoscere al pubblico che egli non aveva assistito alla seduta della Commissione nella quale erasi dato il voto.

Calmati un poco gli animi, incominciò a farsi la luce sulla maniera con cui le cose erano andate in seno alla Commissione e sul perchè del verdetto, che aveva scontentato anche i premiati. La Commissione aveva nominato una sotto-commissione composta di persone competenti e questa aveva riconosciuto che nessuno dei progetti aveva tanto valore artistico da meritare d’essere eseguito, che per altro i progetti degni di premio erano più di tre e fra quelli la differenza non era tanto grande da giustificare la grande differenza del premio. Per questo proponeva che le 109.000 lire fossero divise in un numero maggiore di premi.

A quella proposta si oppose energicamente l’on. Depretis. Egli sostenne che la legge assegnava tre premi ai progetti riconosciuti migliori, e che per conseguenza tre ne dovevano essere conferiti.

Camillo Boito, riconoscendo giusta l’obbiezione del presidente del Consiglio, disse che occorreva attenersi al tenore della legge e mediante diverse votazioni si giunse ad eliminare alcuni progetti, e fra i tre prescelti si distribuirono i premi, facendo menzione dei cinque che venivano dopo i primi, e raccomandandoli per un premio di 5 o 10 mila lire.

Per quel verdetto Enrico Nenot si battè col focosissimo scultore siciliano Grita, poi 38 concorrenti presentarono alla Camera una petizione contro il verdetto. L’on. Bonghi presentò pure