Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/281


— 269 —

la commissione per il progetto composta del senatore Giorgini, del marchese Guiccioli e di altri, aveva proposto che fosse eretto un arco trionfale, che doveva sorgere all’Esedra di Termini. Il Guiccioli nel luglio 1880 propose in una relazione alcune varianti; una che lasciava agli artisti la scelta della forma del monumento, un’altra che non prescriveva la località ove doveva scrgere, una terza che prolungava di due anni il termine utile per la presentazione dei bozzetti, e una quarta infine che aumentava il primo premio da 30,000 a 50,000 lire, il secondo da 20,000 a 30,000 e il terzo da 10,000 a 20,000.

In settembre il ministro dell’interno istituì una nuova commissione composta del prof. Bertini, del prof. Camillo Boito, dell’ing. Canevari, del prof. Ceppi, di Cesare Correnti, di Francesco de Renzis, del prof. Dupré, del prof. G. B. Giorgini, del marchese Alessandro Guiccioli, del prof. Ferdinando Martini, del prof. Vincenzo Vela, del comm. Tullo Massarani, del prof. Domenico Morelli, del dott. Giovanni Morelli, del comm. Marco Tabarrini, del marchese Vitelleschi e del prof. T. Azzurri, presidente dell’Accademia di S. Luca. Il de Renzis doveva funzionare da segretario. Per conferire i premi, erano indispensabili dieci voti favorevoli. Dal 20 al 25 settembre la commissione si riunì di continuo e nell’ultimo giorno presentò al Governo le norme del concorso, stabilendo la data del 25 agosto 1881 per la presentazione dei progetti.

Erano trascorsi dieci anni dalla liberazione di Roma e il 20 settembre fu festeggiato con grande solennità. La Giunta Municipale andò in pompa magna a deporre una corona al Pantheon ove l’avevano preceduta i ministri, le rappresentanze della Camera e del Senato, del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e di quella di Cassazione, e un infinito numero di associazioni. Dopo il Pantheon vi fu la commemorazione della breccia e parlò l’Armellini, funzionante da Sindaco, e il Presidente del Consiglio, on. Cairoli, pronunziò un applauditissimo discorso. La festa riusci bella e ordinata. La sera vi furono feste popolari in piazza Colonna e in piazza Navona, e in quella del Popolo fu eseguita la gran marcia-battaglia del Mililotti, intitolata: La presa di Roma.

Pochi giorni prima l’Armellini si era recato a Civitavecchia a consegnare finalmente alla corazzata Roma, la bandiera delle signore romane. Anche quella della consegna della bandiera era divenuta una questione eterna, cosicché quando la nave ebbe il suo ricco vessillo, era già al tramonto della breve esistenza, e forse il ministro della marina aveva già decretato di radiarla dal numero delle navi di combattimento.

Garibaldi venne in autunno sul continente, ma non a Roma. Egli andò a Genova a visitare Canzio in prigione e poi a San Damiano d’Asti, paese nativo della moglie. Però prima di lasciare Caprera diresse questa lettera ai suoi elettori del 1° collegio di Roma, che rivelava tutta la sua amarezza per l’imprigionamento di Canzio.

«Miei cari amici,

«È con dolore che io devo rinunziare a rappresentarvi nel Parlamento. Coll’animo sarò con voi sino alla morte. Oggi però, non posso più contare tra i legislatori, in un paese, ove la libertà è calpestata, e la legge non serve nella sua applicazione, che a garantire la libertà ai gesuiti, e ai nemici dell’unità d’Italia, per la quale sono seminate le ossa dei migliori de’ suoi figli, su tutti i campi di battaglia, in sessant’anni di lotta.

«Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita, non questa, miserabile all’interno ed umiliata all’estero ed in preda alla parte peggiore della nazione. E non vorrei che il mio silenzio s’interpretasse siccome un’affermazione all’inqualificabile contegno degli uomini che sgovernano il paese.