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nella chiesa parrocchiale il Latini, liberale. Nella seconda spedizione al convento di Casamare fu sorpreso dai bersaglieri e disse di aver perduto il tesoro della spedizione. Un quarto arrolatore era il Klikte de la Grange, vecchio ufficiale svizzero, e capo brigante.

Si può dire che Roma fosse in mano di questi briganti, che, quando non esercitavano il loro ufficio poliziesco, aggredivano la gente. Molti ne rimasero a Roma anche dopo l’occupazione e per questo per un certo tempo le vie della città furono così mal sicure durante la sera.

Il Corpo d’Osservazione, che si concentrò ai confini, era sotto il comando del general Cadorna, buon soldato, giusto e onesto, e si componeva della 11ma divisione comandata dal generale Cosenz, dalla 12ma comandata dal generale Maze de la Roche, e dalla 13ma comandata dal Ferrero, che fu poi ministro della guerra, sotto la presidenza Depretis. Il capo di Stato maggiore era il generale Primerano.

Al Cadorna erano stati sottoposti altri nomi di generali prima che si formasse il Corpo d’Osservazione, e fra quelli il nome di Nino Bixio. La parte che egli aveva avuta alla difesa di Roma nel 1849, il suo coraggio, la sua valentia in guerra, che era apprezzata anche dai soldati piemontesi, fra i quali S. E. il general Della Rocca, che ancora non rifinisce di lodarne l’opera nella campagna del 1866, avevano indotto il ministro della guerra, general Covone, a proporlo al Cadorna. Ma questi, riconoscendo tutti i meriti del Bixio, lo rifiutava, perchè sapeva che nella campagna di Roma più che di slancio e di scienza militare e di valore, era necessario che i capi avessero tatto politico, freddezza, e sapessero barcamenarsi e conciliare gli animi, invece d’infiammarli. E ora che il Bixio è morto, che il Cadorna lo ha seguito nella tomba, bisogna riconoscere che il comandante del Corpo d’Osservazione aveva la vista lunga. Difatti il Bixio gli dette non poche amarezze e quello che egli riferisce nel suo bel libro «La liberazione di Roma», e la polemica che dovè sostenere in seguito per più di un decennio e contro il Petruccelli della Gattina e contro il Guerzoni, lo provano; perchè, nonostante la sua opposizione, il Ministro della Guerra, che già in quel tempo dava segni manifesti di quella perturbazione mentale che Io condusse dopo poco alla morte, chiamò il Bixio da Bologna a comandare la 2° divisione, e all’Angioletti dette il comando della 9°, e queste due divisioni furono mandate a rinforzare il Corpo d’Osservazione, che cambiò il suo nome in quello di 4° Corpo, e che all’ingresso in campagna era forte di circa 60,000 uomini.

Un periodo di dolorosa aspettativa incominciò allora per Roma e per l’Italia. Nel Regno non si aveva fede sicura che i nostri soldati sarebbero venuti a Roma, rammentando che prima di Mentana essi erano pure partiti per il confine, e ne erano tornati senza spingersi fino all’eterna città. A Roma poi non si osava sperare. Il Vaticano aveva numerosi adepti, legati per tradizione al Governo Papale e anche per interesse, perché infinito era il numero degli impiegati e dei beneficati che vivevano comodamente a spese della Santa Sede, delle congreghe e dei conventi. Molte famiglie avevano sussidi, pranzo giornaliero fino a casa, e villeggiature e bagni di mare a Civitavecchia, senza far nulla. La balda gioventù, che senza esser mazziniana, dopo il 1850 si era iscritta sotto la bandiera della Associazione Italiana, che era una trasformazione della Giovane Italia, e della quale per lungo tempo fu capo Cesare Mazzoni di Ancona, uomo ambizioso e accusato poi di essersi dato al partito piemontese, che a Roma si chiamava dei «malva» o dei «fusi», era quasi tutta sparsa per l’Italia. Il partito detto «Nazionale» era poco attivo, nonostante i continui viaggi che l’ingegnere Pescanti, noto affarista, faceva fra Firenze e Roma per acquistare adepti. I Romani d’allora erano leggermente inerti e fatalisti come quelli d’ora, e in quel tempo per liberarsi dalla signoria dei preti aspettavano tutto dal Governo di Firenze, come ora per risorgere economicamente tutto