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«Signor Direttore,

«Mi è giunto sotto fascia il numero 39 dell’Osservatore Cattolico, giornale religioso e politico di Milano.

«Suppongo che mi sia stato inviato da Lei, ma comunque sia, siccome l’articolo inseritovi intestato: «La nobiltà romana ed il principe Torlonia» fa parte di detto giornale, così mi credo in dovere, per la mia dignità personale, d’invitarla ad inserire, in un primo numero di detto giornale, questa mia in risposta al citato articolo.

«Per prima cosa le faccio osservare, sig. Direttore, che se a Lei e ad altri è stato permesso di attaccarmi nel modo che si è fatto, lo devono alla libertà della stampa, libertà di cui si è abusato oltrepassandone i limiti; poichè se un pubblicista ha il mandato di trattare le questioni pubbliche e discutere sulle medesime ad ammaestramento del popolo, non ha però quello di.occuparsi della vita privata dei cittadini e censurarne a suo modo le azioni, e quando così agisce, scendendo nel campo privato, tradisce il suo mandato, merita disprezzo e non altro.

«Quando Ella scriveva il suo articolo, doveva considerare che se io sono il principe Torlonia, non cesso di essere un privato cittadino, indipendente ed estraneo del tutto a partiti ed a lotte politiche. Ella e qualche suo collega cercano di intimidire la mia coscienza.

«Vano proposito, signor Direttore; perchè io auguro a Lei e a tutti quelli che si sono permessi di far minaccie e profezie a mio danno, di sentirsi tanto tranquilli in coscienza quanto mi ci sento io, e che nel loro cuore nutrissero quei veri sentimenti cattolici che io mi fo un vanto di professare.

«In quanto poi ai confronti che le è piaciuto di fare, debbo dirle, per sua norma, che io per principio ho sempre agito ed agisco guidato dai miei sentimenti, senza seguire quello che fanno gli altri, e che nelle mie azioni ho sempre il movente di accattivarmi la stima delle persone dabbene, non curandomi del resto; ed io in ciò non mi tengo secondo ad alcuno.

«Cosicchè gli applausi che mi si promettono da qualche giornale, sia per istimolarmi ad andare avanti, sia per retrocedere su ciò che si sono immaginati, non valgono certamente a farmi rimuovere dal sistema da me adottato. Io non amo le esagerazioni, nè mi reputo da tanto da potere avere influenza in cose che punto da me non dipendono.

«Ella, per attenuare l’inqualificabile ed ingiusto suo modo d’esprimersi sul conto mio, cerca di contrapporre e far risaltare parte delle opere da me eseguite, come sarebbe il prosciugamento del Fucino, sulla quale opera confido in Dio onde disperda il poco caritatevole pronostico della fine del suo articolo. Parla quindi del lavoro che procuro al popolo, delle medicine che facevo dare ai poveri del rione Trastevere (doveva dire facevo e faccio), del mio nome scritto su molte lapidi dell’Eterna Città, degli alabastri che adornano il tempio del Gesù, ed infine dice che in difficili momenti per la Santa Sede concorsi generosamente a ristorarne le finanze, che una congiura monetaria era sul punto di rovinare, eppoi aggiunge che io debbo tutto al Pontefice. Mi permetta che le faccia osservare che in queste sue parole, che ho letteralmente riportato, Ella si trova in una manifesta contradizione, come ci si trova quando mi fa un addebito per essere stato a ringraziare il re Vittorio Emanuele, per una distinzione che ha voluto usarmi, nel quale mio atto se è del tutto estranea la politica, non lo sono certo né il dovere, nè la più assoluta convenienza.

«Ella mi fa pure un addebito per avere ricevuto il generale Garibaldi. Riguardo a ciò mi è d’uopo dirle che quando dei ministri e dei diplomatici sono stati da Lui, senza che sia a mia conoscenza che Esso sia stato da loro, e quando Esso non si è presentato che al Re, e quindi a me, mi usava un riguardo che io certamente non potevo disprezzare. Se Ella crede che la disparità dei principi debba far commettere inciviltà, è padrone di credere come le pare, ma io non divido la sua opinione.

«Con quanto precede ho risposto alle osservazioni che a Lei è piaciuto fare a mio carico. Ora aggiungo che per principio sono nemico di polemiche; ma siccome prevedo il caso che forse si rinno-