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quattro milioni 111


Spagnuoli. A Zorilla e a Gonzales Bravo don Gonzalo dava del tu, quel tu pur così raro in Spagna. Con Espartero duca della Vittoria egli era come pane e cacio, e negli archivi di Salamanca egli era riuscito a trovar modo di provare come qualmente un suo antenato amicissimo del Cid avesse fatto saltare dal busto nella battaglia di Cordova le teste di sette mori l’una dopo l’altra.

Con questi ed altri meriti nascosti, co’ suoi occhi fulminei e le sue chiome corvine, e facile imaginare come il marchese di Turrone trovasse buone accoglienze nella città, che è la scena della nostra storia.

E la trovò tanto buona, che quindici giorni dopo il suo arrivo aveva già dichiarato ch’egli ci avrebbe passato volentieri il resto de’ suoi giorni e che avrebbe derogato fino ad accettar volentieri la carica di console spagnolo.

Ammesso nel Club della high-life, presentato in parecchie case della prima nobiltà, non che in quelle della ricca borghesia e della banca, dove si dànno delle feste da ballo frequentate volentieri dalle grandi dame e dai loro inquartatissimi mariti assidui ai buffè, il marchese Gonzalo si trovò di star così bene, che quel desiderio di fermarsi, espresso già sul principio come una aspirazione, si fece una realtà; tanto