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ecce homo 104


«Ma io vivo nella mia propria luce, io mi ribevo le fiamme che erompono da me.

«Io non conosco la felicità di chi prende; e più volte sognai che il rubare dev’essere molto più dolce del prendere.

«La mia povertà sta in questo, che la mia mano non si stanca mai di donare; la mia invidia è di vedere occhi che attendono e notti illuminate dal desiderio.

«Oh sventura di tutti quelli che donano! Oh oscuramento del mio sole! Oh cupidigia del desiderare! Oh fame atroce nella sazietà!

«Essi prendono da me: ma son io ancora in contatto con la loro anima? C’è un abisso fra il dare e il ricevere; e l’abisso più stretto è il più difficile da passare.

«Un appetito nasce dalla mia bellezza: vorrei fare del male a coloro per cui risplendo, vorrei derubare coloro cui faccio doni; tale è in me la fame di malvagità.

«Ritirare la mano quando già un’altra mano si tende verso di lei, simile alla cascata che, nel precipitare, indugia; tanta è la mia fame di malvagità.

«Tale vendetta inventa la mia pienezza; tali perfidie scaturiscono dalla mia solitudine.

«La mia felicità nel donare svanì col donare; la mia virtù si stancò di sè stessa per la sua abbondanza!

«Chi dona sempre corre pericolo di perdere il pudore; chi distribuisce sempre ha mano e cuore incalliti per il troppo distribuire.

«Il mio occhio non ha più lagrime per la vergogna dei supplicanti; la mia mano è troppo indurita per sentire il tremito di mani ricolme.

«Donde venne la lagrima al mio occhio, e il callo al mio cuore? Oh, solitudine di tutti coloro che donano! Oh, silenzio di tutti coloro che splendono!

«Molti soli ruotano nello spazio deserto: a tutto ciò ch’è oscuro essi parlano, con la loro luce; con me, tacciono.