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capitolo xlviii 437

stanza buia quanto la bocca di un forno. La povera matrona si sentì sul fatto afferrare con due mani per la gola sì fortemente che le veniva impedito il respiro, e sul fatto stesso altra persona senza proferire parola le alzò i panni e con una pianella cominciò a darle tante e tante picchiate ch’era una compassione. Benchè don Chisciotte sentisse tutto, non però si moveva dal suo letto, nè sapendo quel che avvenisse stavasene immobile e silenzioso per timore che non assoggettassero lui pure ad un carico e scarico di frustate. E questo timore non fu malfondato, perchè quei taciturni carnefici dopo aver tutta pesta la matrona, che non osava mandare uno zitto, si appressarono a don Chisciotte, e levandogli dattorno il lenzuolo e la coltra lo pizzicarono sì per minuto e con tale veemenza ch’egli non potè a meno di far ricambio coi pugni; e tutto questo seguiva con maraviglioso silenzio. Durò la battaglia pressochè mezz’ora; poi se ne andarono le fantasime, e donna Rodrighez si ravviò panni, e gemendo sulla sua sciagura uscì fuora senza dir altro a don Chisciotte; il quale doglioso, pizzicato, confuso e immerso in alti pensieri rimase solo. Noi lo lasceremo colla smania di sapere chi fosse il perverso incantatore che a tale lo avea ridotto; ma ciò si dirà a suo tempo: chè Sancio Panza ci chiama, e il buon ordine della istoria esige che ci volgiamo a lui.