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fabbricato; sopra il quale vidi un cavaliero disteso quanto era lungo, e non già di bronzo o di marmo, nè formato di diaspro alla foggia di quelli che scorgonsi nei sepolcri di costassù, ma di vera carne e di vere ossa. Teneva la destra mano, che mi parve un po’ pelosa e nervosa (segno di sua gran forza) posta sul lato del cuore, e prima che io facessi a Montèsino richiesta alcuna, vedendomi egli attonito a guardar quello del sepolcro, mi disse: — Questo è l’amico mio Durandarte, fiore e specchio dei cavalieri innamorati e valorosi del tempo suo; il quale (come lo sono io e molti altri) resta qua incantato per opera di Merlino, di quel francese maliardo che dicono essere stato figliuolo del demonio, ma che per mio avviso non fu già figliuolo, ma più del demonio saputo di un punto, come suol dirsi. Ognuno ignora la ragione del nostro incantesimo, ma si saprà bene col volger degli anni, che non dovrebbero essere ancora molti per quanto vo immaginando. Quello poi di cui stupirete si è ch’io sono così certo come adesso che voi siete qui, che Durandarte pose fine ai suoi giorni fra le mie braccia, e che dopo la sua morte io gli cavai colle proprie mie mani il cuore; il quale, senza esagerare, pesar doveva oltre due libbre: e voi avrete già inteso dai naturalisti che chi ha il cuore di mole grande è dotato di maggiore bravura di chi lo ha piccino. — Passando la cosa dunque in tal modo, ed essendo vero che realmente morì questo cavaliere, come fa egli, io replicai, a dolersi ed a sospirare di tanto in tanto come se fosse ancor vivo? Proferite appena tali parole, il misero Durandarte sclamò: “O mio cugino Montèsino, l’ultima mia preghiera fu che dopo la mia morte tu portassi il mio cuore a Belerma traendolo dal mio petto con un pugnale o con una daga„. Udito questo, il venerabile Montèsino si mise tosto ginocchioni dinanzi al dolente cavaliere, e così proruppe, spargendo un mare di lagrime: — Già signor Durandarte, carissimo cugino mio, già eseguito ho il comando che mi avete dato nel malaugurato giorno della vostra perdita. Io vi trassi il cuore nel miglior modo che per me si è potuto, senza che ve ne restasse la più picciola parte nel petto; l’ho ripulito io stesso con molta diligenza adoperando un fazzoletto fornito di merli di punto, e me ne andai con esso di carriera verso la Francia, avendovi prima posto in seno alla terra e sepolto con tante lagrime che bastarono a lavarmi le mani ed a mondarmi del sangue che le bruttava per avere maneggiato le vostre viscere. Per più indubitati contrassegni, o cugino dell’anima mia, sappiate che nel primo luogo in cui mi avvenni uscendo di Roncisvalle, posi un po’ di sale su questo vostro cuore, affinchè non putisse, e si conservasse se non fresco, almeno stantìo alla pre-