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capitolo v. 43

sta dalle percosse, e si diede a nettargli la faccia ch’era tutta coperta di polvere; nè gliel ebbe appena nettata che subito lo conobbe, e gli disse: “Signor Chisciada (così soleva chiamarsi quand’avea buon giudizio, e prima di cambiarsi da tranquillo idalgo in cavaliere errante), chi trattò per tal modo vossignoria?„ Egli non rispondeva, ma ad ogni domanda ripigliava la sua canzone. Laonde il buon uomo con tutta la possibile diligenza gli trasse la corazza e gli spallacci per conoscere s’era stato ferito; ma non trovò nè sangue nè segno alcuno. Procurò pertanto di rizzarlo da terra, e con molta fatica giunse a metterlo attraverso del suo giumento, sembrandogli più agiata cavalcatura. Raccolse l’arme tutte, fino alle schegge della lancia, e le buttò in un fascio sopra Ronzinante, poi preso questo per la briglia, e l’asino per la cavezza, s’incamminò verso la sua Terra, non senza grande apprensione nel sentire gli spropositi che dicea don Chisciotte; il quale tutto confuso e mal reggendosi sull’asino, talmente era pesto! di tanto in tanto mandava sospiri che giugnevano al cielo. Il villano gli domandò di nuovo che mal si sentisse; ma pareva che il diavolo a bella posta gli riducesse nella memoria le avventure tutte che avevano somiglianza con quella sua. Perocchè dimenticandosi di Baldovino a quel punto si risovvenne del moro Aben-Darraez, quando il castellano d’Antechera, Roderigo