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santi sospiri agiteranno continuamente le frondi di questi montani alberi in testimonio della pena che soffre l’affannato mio cuore! O voi, qualunque vi siate, silvestri numi, che tenete la vostra sede in questo inimitabile luogo, udite le querele di uno sventurato amante, cui lunga assenza e timore d’immaginate gelosie hanno tratto a lamentarsi fra sì selvaggi recessi, ed a dolersi del crudele stato a cui lo condusse quella ingrata e vezzosa che in sè raccoglie le perfezioni tutte della bellezza! O voi Napee e Driadi, che siete accostumate ad abitare tra le catene di questi monti, piaccia al cielo che la tranquillità vostra non sia turbata giammai da Satiri leggeri e petulanti, affinchè mi ajutiate a deplorare la mia disavventura, o non isdegniate almeno di udirla! O Dulcinea del Toboso, giorno della mia notte, gloria della mia pena, tramontana dei miei viaggi, stella della mia ventura, (così secondi il cielo ogni tua brama), ti prego di considerare il luogo e lo stato cui mi ha condotto la tua lontananza, e di pietosamente concedermi quanto si dee alla mia fede! O arbori solitari che sarete compagni del mio ritiro, date segno col susurrare dei vostri rami che non vi è discara la mia presenza! O tu, scudiere mio, dolce compagno nei miei avventurosi e contrari eventi, imprimi bene nella tua mente ciò che qui mi vedrai operare, affinchè tu possa poi farne racconto esatto e fedele alla sola cagione del mio soffrire1!„ Detto questo, smontò da Ronzinante, e in un momento gli tolse il freno e la sella, e dandogli una spalmata in sulle groppe gli disse: “Libertà ti concede colui che l’ha perduta, o destriero tanto celebre per le opere tue, quanto sventurato pel tuo destino: vattene ove più ti aggrada, chè già porti scritto nella fronte che non ti superò in agilità l’Ippogrifo di Astolfo, nè il rinomato Frontino che tanto caro costò a Bradamante2„. Sancio, vedendo tutto questo, disse: — Sia benedetto adesso chi mi ha tolto la briga di levare la bardella al leardo, chè certo non gli saria mancato il bastone, in vece di lodi per magnificarlo; ma se qua si trovasse, io non avrei acconsentito che alcuno lo sbardellasse, nè ciò sarebbe occorso perchè a lui non toccavano le regole generali d’innamorato nè di disperato, mentre io, suo padrone, non mi sarei trovato a sì tristo partito per essere amante. In verità, signor cavaliere dalla Trista Figura, che se sono certe la mia partenza e la pazzia di vossignoria, sarebbe cosa ben fatta metter di nuovo la sella a Ronzinante, perchè supplisse alla mancanza del mio leardo; e così io affretterei la mia partenza e il ritorno. Se debbo viaggiare a piedi non so quando

  1. Parodia della seconda egloga di Garcilaso de Vega.
  2. Ariosto, C. 4.