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capitolo xvii. 149


sì alte le strida del povero sobbalzato, che giunsero all’orecchio del suo padrone; il quale, fermatosi ad ascoltare con grande attenzione, credette che fosse per accadere qualche nuova avventura, ma poi conobbe che quegli che gridava era il suo scudiere. Volta la briglia, col pesante galoppo del suo Ronzinante, ritornò all’osteria, e trovandola chiusa la girò tutt’intorno per vedere se ne scoprisse l’ingresso; ma giunto alla muraglia della corte, che non era troppo alta, scoperse il cattivo giuoco che facevasi del povero Sancio. Lo vide calare e salire per aria con tanta grazia e prestezza, che se non fosse stato coll’animo inviperito ne avrebbe riso egli stesso. Provò di arrampicarsi dal cavallo sul muro, ma non gli fu possibile, tanto era ancora pesto e malconcio, però così d’in sul cavallo, cominciò a scagliare tante villanie e tanti vituperi contro a quelli che facevano balzar Sancio, che non è possibile scriverli: e nondimeno coloro senza curarsi dei fatti suoi, e in mezzo alle risa continuarono a mandar Sancio in aria: il quale divenuto volatore ora gridava, ora minacciava, ora pregava, ma tutto questo poco giovò, perchè non lasciarono il giuoco se non quando ne furono stanchi. Allora gli ricondussero nel cortile il suo asino, e ve

    coloro che trovava ubbriachi nelle sue ronde notturne: e gli studenti delle Università spagnuole nel carnevale avevano in conto di passatempo e di allegria il tormentare di questo modo un qualche povero cane.