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ch’ella gli aveva indicato, per farne un dono a Proserpina. Riconobbe ne’ Campi Elisj gli eroi trojani e suo padre, da cui fu istruito intorno al di lui destino e della sua posterità. Ritornato dall’Inferno, venne ad accamparsi sulla riva del Tevere, ove Cibele cangiò i suoi vascelli in altrettante ninfe. Sostenne la guerra contro Turno, re de’ Rutuli, per cagion di Lavinia, ch’egli sposò dopo aver combattuto ed ucciso questo re in duello. Fondò la città di Lavinio, che i Romani riguardavano come la cuna del loro impero. Si disse che Venere lo rapì, e seco lo trasportò nel Cielo ad onta di Giunone, ch’era stata cagione di tutte le sue disavventure, e che erasi dichiarata contro di lui, come trojano. Fu onorato da Romani sotto il nome di Giove Indigete. Le sue avventure hanno somministrato a Virgilio l’argomento del suo ammirabile poema l’Eneide.

Enomao, re di Pisa, padre d’Ippodamia, giovine famoso per la di lei bellezza. Avendo inteso da un oracolo che suo genero l’ucciderebbe, o che perirebbe allorchè sua figlia si maritasse, determinò di condannarla ad un perpetuo celibato. Per liberarsi dalla folla dei proci, promise la principessa in isposa a colui che le avvanzerebbe nel corso delle carrette, e che ucciderebbe tutti coloro che restassero da lui vinti. L’amante doveva correre avanti, ed il re lo seguiva colla spada alla mano. Enomao aveva per cocchiero Mirtilo, il più abile in tal mestiere. Tredici sfortunati amanti d’Ippodamia perirono in tal cimento, ed Enomao li fece sotterrare l’un dopo l’altro in un luogo eminente. Finalmente si presentò Pelope; ma prima di entrare in lizza, aveva corrotto Mirtilo, il quale tolse dalla carretta del suo