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to le catene, e le navi con furia piombando si fracassavan tra loro, o contro li scogli, o pure affondavano in mare, e si perdeano. So bene, che queste mani di ferro, e le catapulte, e le baliste vi erano prima di Archimede; ma fu costui, che co’ suoi ingegni atte le fece ad operare da lontano, e da vicino, ad essere maneggiate con gran facilità, a movere ogni maniera di pesi. E sopra d’ogni altro fu Archimede, che in quell’assedio le dirigea, le adattava, le facea servire con gran danno de’ nemici, con gran vantaggio de’ Siracusani. Però i Romani restavano attoniti dalle maraviglie, che operavano gli ordigni militari di Siracusa, e perciò Marcello deridea i suoi ingegneri, che nulla sapeano opporre alle invenzioni di quel geometra, che egli chiamava Briareo. Tanta era la quantità prodigiosa de’ dardi, che si lanciavano in un sol tratto da’ Siracusani. Ma qual maraviglia non ebbe a prender Marcello, s’egli è vero, che le navi romane furono allora bruciate dagli specchi del nostro Archimede?

Leggendo i pezzi, che ci restano di Anthemio di Tralles, e i racconti dello Tzetze, e