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166 DUODECIMA.

Che il filosofo gode, a forza il toglie"
440A IT estasi sublime, e lo ’rispinge
Nell’inquieto ondeggiar del mondo insano «
L’Indiche genti f e chi di sogai è amante
Idolatrino il sol e la sua luce
<JH agiti j li rallegri: a me la notte
445Sembra più sacra. Io vi saluto, o cari
Solitarj momenti, illustri avanzi
Di quel tempo, di cui fé’ strage il giorno*
E te propizia a me, da me bramata
Ora, in cui giunge alla metà del corso
450V oscurissima notte, io pur saluto.
Qnal diletto in quest’ora io provo in seno
Tenero,, delicato! E come io sento
Quest’alma in libertà 5 nè cinto io sono
Quasi in cupa prigion da questo orrore!
455Forma» quest’ombre a me chete d’intorno
Delizioso riparo, e mia difesa
Questo si rendei e di piacer ricolmo
In quest’ombre sì care allor m’aggiro.
Oh come in questo orrore i miei pensieri
460Senza impulso, o cagion liberi io sento
Sorger! Da questo orrore ogni lor pregio
Traggono, ed hanno in lui sicuro. asilo»
Dal pianeta maggior resta avvilito
Il pensier, nè da quei luce riceve:
465La prende sol da quella fiamma altera,
Che non potìhe scintille un giorno impresse
Alja materia inerte e moto, e vita:
La prende sol da quel soggiorno augusto,
Donde celeste Urania a noi discende,
470Che del mio canto è insiem maestra, e duce.
Questa Diva non sdegna allor che annotta
Al fianco mio restar ’Ma quanto, oh Dio!
È rìgida in voler, che il mio pensiero
Torni al severo giogo, ah giogo ingrato!
475Necessario però} nè vuol ch’io segua
A gustar quel piacere, ond’io mi pasco
In quest’ore notturne. Ella un oggetto