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dimenticandosi ad un tempo, che quel loro re era pur insieme un semplice laico, un figlio della Chiesa, una pecora del loro ovile, e ch’essi erano Vescovi messi dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio. Non era possibile in una parola che essendo divenuti uomini del re1, avessero egualmente presente di essere uomini di Dio; imperciocchè «nessuno può servire a due padroni (Matt, vi, 24).»

82. Effetto delle cose temporali usate ad un fine temporale è pur troppo, quello di accecare gli uomini; e tutta la possanza della Chiesa, tutta l’ecclasiastica libertà appartiene ad un ordine di cose spirituale e invisibile. Qual maraviglia pertanto, se venendo annesso alla potestà ed all’ufficio spirituale dell’episcopato, una grande potestà esterna e sensibile, un ufficio temporale e materiale; i Vescovi, uomini anch’essi, si restassero altrettanto, che i principi, accecati e occupati da questo accessorio, e in questo riponessero ben presto il nerbo principale della loro episcopale dignità; che con questo poter temporale ricevuto dal principe mescolassero e confondessero il potere spirituale ricevuto da Cristo; che questo potere invisibile col temporale mescolato e confuso, svanisse per così dire, e si perdesse dalla loro veduta; quindi che si chiamasse episcopato il beneficio annesso; non intendendosi più possibile una divisione dell’episcopale officio da temporale beneficio, nè come sussistere potesse quello senza di questo? Di vero le frasi correnti nello stile di quella età, depositarie delle comuni opinioni, provano manifestamente ciò che io dico; esse fondono ogni cosa insieme, in vece di dire che il re dona i beni temporali annessi alla sede episcopale, dicono che «dona, conferisce l’episcopato, conferisce la dignità episcopale, comanda, precetta che il tale sia Vescovo, per ordinazione del re il tale viene ordinato ecc.2

Ripeto, che queste maniere di dire non valevano, al tempo nel quale furono inventate, tutto ciò che significano: ma esse però predicavano ciò che un tempo avrebber valuto. Avviene appunto così: prima s’inventano delle frasi, e per qualche tempo corrono senza valore, e sono altrettante deboli condiscendenze che fa la verità alle passioni, altrettante menzogne. Dietro le frasi però non tardano le cose; conciossiachè v’ha una legge che spinge gli uomini a dire la verità, e che quindi li porta a realizzare le parole che proferiscono eziandiochè vanamente. Di che le maniere correnti del parlare di una nazione preaccennano il cammino che essa sta prendendo, a chi sa vedere il fondo delle umane vicende; e nelle maniere di esprimersi questi legge le tendenze de’ popoli, e profetizza a che vogliano riuscire i loro avviamenti. Quella identificazione de’ benefizi temporali colla dignità episcopale nell’uso del parlare, quell’attribuire al potere laicale la distribu-

  1. Quegli che era investito del feudo dal re, chiamavasi homo regis. Non si può trovare una maniera di dire che più esprima l’assoluta padronanza del re su quest’uomo, divenuto come regia proprietà. Quale pensiero strano non sarebbe l’immaginare un S. Pietro, un S. Paolo, o un Grisostomo, un Ambrogio da homo Dei fatto homo regis! E la parola homo era divenuta un sinonimo di soldato a quei tempi, come si può vedere nel Du-Cange Gloss. med. et infim. latinit. Voc. Miles.
  2. Di Franco, cancelliere del re Roberto, scrive Fulberto Carnotese (ep. 8) che fu fatto vescovo eligente Clero, suffragante populo, dono regis. Come ho toccato più sopra, questa frase era già comunemente usata da tutti, nè si faceva conto della sua inesattezza. Fra le formule di Marcolfo, quella che contiene il precetto del re, e che abbiamo accennato, dice al Vescovo designato: pontificalem in Dei nomine commisimus dignitatem; la qual maniera di dire, conviene che ha bisogno di spiegazione anche un zelante difensore de’ dritti regi, soggiungendo appunto la spiegazione seguente, quod saniori sensu et magis canonico intelligi non potest quam de regiorum jurium et feudorum investitura et concessione quae Clodoveus ex Ecclesiis manu liberali contulerat. Hist. Eccl. saec. xiii, xiv, Dissert. viii, art. iii.) — S. Gregorio di Tours, (Lib. iv, c. 7) di Cautino vescovo di Arvernia dice: Tunc jussu regis traditis ei clericis et omnibus quae hi de rebus Ecclesiae exhibuerant. Clotario ii, nell’editto col quale modifica il canone del Concilio v di Parigi, ut si persona condigna fuerit, per ordinationem principis ordinetur. Tali maniere s’incontrano ad ogni pie’ sospinto negli scritti di quel tempo.