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vessero riguardare. Per tal guisa il feudalismo assorbì ogni cosa: non lasciò più libere, nè le persone, nè le cose delle Chiese.

129. Lasciando dunque da parte il caso della sovranità, che non s’avverò se non nella sedia romana, nè s’avrebbe potuto avverare in altre, almeno per lungo tempo, la quale essendo dominio libero non arreca ignominiosa servitù, dico ciò che corrompe ed avvilisce il clero non sono le ricchezze libere, ma le serve: fu la servitù degli ecclesiastici beni la deploranda cagione, onde la Chiesa non potè conservare le antiche sue massime intorno ai beni ecclesiastici, nè regolarne liberamente e col suo proprio spirito l’acquisto, l’amministrazione e la dispensazione come si conveniva. E questa mancanza di convenevoli provvedimenti all’amministrazione e all’uso de’ beni della Chiesa in conformità delle antiche massime dell’ecclesiastico spirito è appunto la quinta piaga, che tuttavia affligge e martoria il suo mistico corpo.

130. Il feudalismo in gran parte è caduto, e va via più dileguandosi in presenza dell’incivilimento delle nazioni, come le ombre si fuggono a’ raggi della luce: la Chiesa non ha più feudi. Ma al feudalismo sopravvivono i suoi principî legali, le sue abitudini, il suo spirito: la politica de’ governi s’ispira ad esso, i codici moderni hanno ereditato dal medio evo una sì infausta eredità. Noi segnaliamo la cagione, perchè se ne considerino gli effetti.

131. La Chiesa primitiva era povera, ma libera: la persecuzione non le toglieva la libertà del suo reggimento: nè pure lo spoglio violento de’ suoi beni, pregiudicava punto alla sua vera libertà. Ella non aveva vassallaggio, non protezione, meno ancora tutela, o avvocazia: sotto queste infide e traditrici denominazioni s’introdusse la servitù de’ beni ecclesiastici: da quell’ora fu impossibile alla Chiesa, come dicevamo, di mantenere le antiche sue massime intorno all’acquisto, al governo, e all’uso de’ suoi beni materiali; e la dimenticanza di queste massime, che toglievano a tali beni tutto ciò che hanno di lusinghevole e di corruttore, l’addusse all’estremo pericolo: noi dobbiamo accennarne le principali.

132. La prima massima, che riguardava l’acquisto de’ beni, era che l’oblazione fosse spontanea. — «In qualunque casa entrerete, avea detto Cristo agli Apostoli, prima dite: pace a questa casa. — E nella stessa casa rimanetevi mangiando e bevendo le cose che si trovano presso di quelli poichè l’operaio è degno della sua mercede (Luc. x, 5, 7.).» Le quali ultime parole furono norma agli Apostoli, ripetuta più volte da S. Paolo (I Cor. iv, 4, 15, 1 Timoth. v, 17, 18.). Per esse Cristo imponeva ai fedeli l’obbligazione di mantenere gli operai evangelici, e dava a questi il diritto di esser mantenuti da loro. Era un vero precetto; ma l’esser precetto, non toglie la spontaneità dell’azione; che spontanea dovea esser pure la stessa adesione al Vangelo, e l’incorporazione al corpo dei fedeli. La spontaneità dell’umano operare non cessa se non allorquando s’aggiunge all’obbligazione altresì una coazione violenta. Ora Cristo non aggiunse altra sanzione che questa: «E chiunque non vi riceverà, nè ascolterà i vostri discorsi, uscendo fuora della casa o della città scuotete la polvere da’ vostri piedi (Matth. x, 14.).» È rimesso alla divina giustizia il punire gli infrattori di quel precetto, secondo lo spirito di mansuetudine del divino legislatore, il quale pure promette, a suo tempo, che saprà farlo (Ivi, 15.). L’evento di Anania e di Saffira prova il medesimo: «Se tu l’avessi tenuto (il tuo campo), disse al primo S. Pietro, non ti rimaneva egli? e venduto non ne rimaneva in tue mani il prezzo (Act. v, 1, 11.)?» Parimente le collette ordinate da S. Pietro alle Chiese de’ Galati, e de’ Corintî, per sopperire al bisogno de’ Cristiani indigenti di Gerusalemme, sono rimesse allo spirito di carità e alla discrezione di ciascheduno: «ogni domenica ciascuno di voi metta da parte ciò che gli verrà bene (I Cor. xvi, 2.).»