Pagina:Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (Rosmini).djvu/103

 
 
103


mente vi prega (Ep. ccxix)» Non trovava adunque S. Bernardo che si potesse scusare un principe, il quale intervenisse nella elezione de’ vescovi coll’escludere pur una persona di quelle che potrebbero essere elette: e riconosce in ciò una ferita dell’ecclesiastica libertà. Or secondo questi principî, che sono immutabili nella chiesa di Dio, che cosa divengono le nomine regie? Il tempo nel quale esse sono introdotte si dovrà dire tempo di libertà e di schiavitù? Dovranno i figliuoli della Chiesa rallegrarsi, o piangere del loro secolo?

111. Ma per conoscere via più la natura maligna di questa piaga della Chiesa, si consideri che colla nominazione regia si sono abbandonate tutte le massime più reverende che la Chiesa in tutti i secoli avea seguitate circa le elezioni, e delle quali s’era mostrata oltremodo gelosa. Si considerino queste grandi massime (perite in quanto al loro uso nella chiesa l’anno 1516, ma vive però sempre nel desiderio), una ad una.

Massima inviolabile della chiesa si fu che «a vescovo venga eletto il migliore di quanti se ne possono avere;» e questa massima è giusta, evidente, conforme ad un’alta idea del vescovato. Non tiene la Chiesa, che aver vi possa una certa determinata dose di dottrina, di bontà, e di prudenza, la quale possa esser bastevole ad un tanto ufficio, sicchè il di più sia soverchio; ma anzi tutti i pregi di un uomo quantunque molti e grandi sieno, gli pajon poco a quel carico, che si diceva «pauroso ad omeri di Angelo.» Però non potendosi avere chi si adeguasse a tanta dignità, si voleva almeno eletto vescovo il migliore di tutti fra quanti si potessero rinvenire1.

Ora il concordato che stabilisce la nomina regia fu necessitato di sostituire all’antica un’altra massima, cioè che il nominato debba essere «un uomo grave, maestro in teologia o in diritto, e che almeno abbia ventisett’anni2.» Non più dunque il migliore si richiede, ma un uom sufficiente. Vero è che il principe, a cui è rimessa la nomina, non è sciolto dall’obbligo di eleggere il migliore; ma qual garanzia ne ha la Chiesa? la Chiesa nol può rigettare, se non nel caso che «il nominato non sia uomo grave, e maestro in teologia, o dell’età prescritta.« Qual garanzia ne ha la diocesi particolare alla quale è destinato? quando questa se lo eleggeva, ella se

  1. Tutta la sacra antichità proclama altamente questo principio. Ecco con che forza il grande Origene lo inculcava nel secondo secolo della Chiesa. Parlando del modo, col quale nell’antica legge fu costituito pontefice Aronne, mostra che allora si preindicava il modo come nella nuova si doveva eleggere il Vescovo. Dice adunque: «Or veggiamo con che ordine fu costituito quel pontefice. Mosè convocò la Sinagoga, dice il sacro testo, e parlò così: «Questa è la parola che ha comandato il Signore,» Ecco qua, sebbene il Signore avesse comandato di costituire il pontefice, e il Signore stesso eletto l’avesse; tuttavia convoca anche la Sinagoga. Conciossiachè si ricerca, in ordinare alcuno sacerdote, anche la presenza del popolo, acciocchè tutti sappiano e siano certi, che si elegge al Sacerdozio quello che e’ fra tutto il popolo il piu’ eccellente, il piu’ dotto, il piu’ santo, il piu’ eminente in ogni virtu’; ut sciant, omnes et certi sint quia qui praestantior est ex omni populo, qui doctior, qui sanctior, qui in omni virtute eminentior, ille eligatur ad Sacerdotium.» Hom. vi in Levit.

    Questa dottrina appartiene alla costante tradizione della Chiesa. Ecco il discorso che nel secolo ix il Visitatore, cioè quel Vescovo che venia mandato dal Metropolitano e dal principe a presiedere alle elezioni, faceva all’assemblea degli elettori: «Noi vi comandiamo d’ordine sovrano, e per quella fede che avete giurato di serbare a Dio e al Signore imperator nostro Lodovico, e acciocchè voi non cadiate in quella gravissima sentenza di condannazione, sotto quel terribile anatema che ci chiama tutti dinanzi al tribunale del giudice, che non vogliate nasconderci chi sia quegli che in questa congregazione voi conoscete pel migliore, pel piu’ dotto, e piu’ ornato di buoni costumiut eum quem meliorem et doctiorem et bonis moribus ornatiorem in ista Congregatione conversari noveritis, nobis eum non celare dignemini.» (Inter formulas promotionum Episcopalium.

  2. Queste sono le parole del Concordato.