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e sostituito all’immobilità delli ordini antichi un perpetuo rinnovamento del sociale consorzio.

Passando ora a dire qual sia quella parte di popolo che tuttora reclama l’alimento intellettuale, è pur d’uopo confessare corno rimanga a far molto in prò delli abitanti delle nostre campagne, dei quali è pur vergogna il dirlo, ma la massima parte ignora affatto l’alfabeto: il nostro contadino saprà dirvi quanto guadagno ritrae dai suoi campi e nulla più, e intanto le più belle invenzioni e i più utili miglioramenti dell’arte agraria ci vengono d’oltr’Alpe, e i popoli che per antonomasia si disser barbari e vennero a ingentilirsi ai nostri focolari, ci fanno oggi da maestri.

Tutto ciò è grave danno, per chi non voglia disconoscere la importanza somma della ricchezza agricola, come quella da cui dipende essenzialmente la industriale e la manifatturiera1; tanto più per la Italia che dalla provida natura è destinata a ritrarre da essa la principale risorsa nazionale.

Niuno può oramai controvertere del primato della agricoltura sopra le altre industrie: nissuno più dubita che ogni prosperità che non sia fondata su di essa è precaria, che ogni ricchezza che non venga dal suolo, è incerta; che le sole nazioni agricole possono vivere sicure e indipendenti; che i villaggi sono il primo elemento di dovizia nazionale ed essendo la base delle produzioni greggie sono altrettanti raggi che decidono intieramente della esistenza dei grandi centri manifatturieri. A chi ne dubitasse ricorderei la bella sentenza di Federigo della Prussia, il quale ripeteva sovente «se io avessi un uomo che invece di una, mi producesse due spighe, io lo preferirei a tutti i genii politici.»

L’Italia ha veduto qual parte le sia toccata specialmente in fatto di agricoltura e di pastorizia nelle 4 grandi Esposizioni che in meno di tre lustri si sono avvicendate. Sebbene abbia percorsa una linea sempre crescente di progresso, pure ella si trova assai al di sotto di quelle nazioni che non godono dei vantaggi di cui a lei sola fu prodiga la natura; senza parlare in specie, e lamentare fra le altre cose lo scarso allevamento dei merinos di fronte ai grandi e bei pascoli di cui va ricco il nostro paese2, basterà il notare come nella media e bassa Italia la porzione dello incolto agguagli quasi quella del terreno coltivato; infatti su 30 milioni d’ettari, 16 milioni non vennero assoggettati a cultura3.

L’eloquenza di questi fatti ci dispensa da ogni commento e ne conferma vie più nel concetto che occorra assolutamente propaga-

  1. Filangeri. Scienza della legislazione.
  2. Relazione del Barone di Donnafugata sull'Esposizione di Dublino.
  3. V. Rossi. Delle condizioni economiche dell’Italia ec.