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libro settimo 173

che da prima abitavano una penisola dalla quale furono discacciati da una grande marea: mentre essi occupano tuttavia il paese di prima, d’onde mandarono in dono ad Augusto il sacratissimo loro lebete, domandando amicizia e perdono delle cose passate; e com’ebbero ottenuto ciò che richiedevano se ne partiron di nuovo. E veramente sarebbe ridicolo se un fenomeno naturale che si rinnova due volte ogni giorno avesse potuto indurli ad uscire dal proprio paese. Ha poi sembianza d’invenzione il dire che v’ebbe una volta una marea maggiore delle altre; quando l’Oceano ha flussi e riflussi regolari, ed è periodico in questo fenomeno. Nè disse bene nemmanco chi affermò avere i Cimbri impugnate le armi contro le maree; nè è vero che i Celti per abituarsi ad essere intrepidi, lasciassero che le loro case fossero coperte dall’acqua e poi le rifabbricassero di nuovo, sicché fra loro più fossero quelli che avevan la morte dall’acqua che dalla guerra, come Eforo asserisce. Perocchè l’ordine del flusso e riflusso, e il sapersi che il paese va soggetto a quella inondazione, non potevano dar luogo a siffatte assurdità. E veramente, non è forse incredibile che costoro non siansi mai accorti che quel fenomeno il quale accadeva due volte ogni giorno era naturale ed innocuo, e che non avveniva già solo appo loro, ma presso tutti i popoli abitanti lungo l’Atlantico? E nemmanco Clitarco dice bene affermando che i cavalieri Cimbri avendo una volta veduta la marea muoversi verso di loro voltarono addietro i cavalli, ed anche fuggendo furono a gran pericolo di esserne oppressi: mentre sappiamo che