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per quanto sia a titolo oneroso, compensando la società dei probabili lucri che avrebbe ancora il diritto di esigere.

Ma quali possono essere e come si devono valutare? E noto che alla società concessionaria furono attribuiti, secondo determinata tariffa, i proventi dell’opera compiuta e mantenuta: cioè la plus valenza dei pedaggi. L’Art. 38 dello stesso progetto presentato al Granduca dai fratelli Seguin, stabiliva che i ponti di ferro dovessero passare in proprietà dello Stato, senza alcuna indennitá1. Nessuna questione dunque può sorgere per il materiale esistente. E infatti quando nel 1872 il Comune riprese le pratiche iniziate nel 1866 per riscattare i ponti, o, come allora si diceva, per ottenere dalla società la cessione dei suoi diritti, lo stesso cav. Antonio Zobi, che rappresentava la Società in una lettera del 24 Ottobre dichiarò che le attività sociali consistevano unicamente nei pedaggi, e che per l’atto di concessione la Società non aveva diritto di proprietà sui ponti. Tale fu pure il giudizio dell’Avv. Andreucci, allora interrogato dall’amministrazione municipale su tale argomento2. E siccome nell’Ottobre di quell’anno, l’amministrazione comunale si ostinò a proporre, come base di valutazione, la stima dei ponti; la proposta fu vittoriosamente respinta dalla Società, e il suo incaricato, per giustificarne il rifiuto, la diceva inammissibile “come implicante l’erroneo presupposto che la Società sia proprietaria dei ponti e della loro proprietà intenda fare cessione. La Società non altro possiede che il diritto effettivo di esercitarli utilmente”. È evidente, soggiungeva, che la proprietà trapassò virtualmente al Governo concedente fin da quando furono costruiti e riconosciuti idonei all’esercizio pubblico. E l’Andreucci, giustamente concludeva, che i

  1. Cit. filze di rescritti e affari a parte, 1835-37, segnatura 153.
  2. Archivio del Comune, filza Ponti Sospesi sull'Arno, Anni diversi, inserto ottavo.