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desimi, quando mancano del castigo, hanno alcun male di più, cioè essa impunità, la quale tu stesso, per lo essere ingiusta e iniqua cosa che i rei non si puniscano, hai confessato esser male. Nol posso, dissi, negare. Dunque, conchiuse ella, molto più infelici sono i malvagi quando ingiustamente è condonata loro la pena, che quando giustamente puniti sono; ma egli è manifesto che, come è cosa giusta che i malvagi siano puniti, così è iniqua che eglino impuniti scampino. Chi lo negherebbe? risposi. Ma nè anco quello, aggiunse, negherà alcuno, ogni cosa, la quale è giusta, essere ancora buona; e per lo rovescio tutto quello, il quale è ingiusto, essere ancora reo. E io allora: Coteste cose, dissi, conseguitano da quelle che poco dianzi conchiuse furono: ma dimmi, ti prego, sai tu che dopo la morte del corpo rimangano all’anime tormenti alcuni? E grandi, rispose, de’ quali penso che alcuni siano dati loro acerbamente per punirle, alcuni clementemente per purgarle; ma l’intendimento mio non è disputare ora di questi. Ora quello, che infino a qui fatto abbiamo, si è che tu quella potenza, la quale ti pareva che indegnissimamente avessono i rei, hai conosciuto esser nulla; e coloro i quali ti lamentavi non esser puniti mai, delle pene della loro malvagità non mancare hai veduto: e quella potenza, la quale che tosto si finisse pregavi, hai apparato non esser lunga, e che più infelice sarebbe, se fosse più lunga; e infelicissima, se fosse eterna: di poi, che più miseri sono i rei quando con ingiusto perdono andare si lasciano, che quando con giusta vendetta puniti sono: al che sé-