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atto quarto 367

SCENA IX.

Lelio, Cricca, Guglielmo.

Cricca. (Signor Lelio, costui è di quella linea antica di Bartolomeo Colione: persuaderlo che non sia Guglielmo è un perder tempo. Ma siate certo che costui è vostro padre).

Lelio. (Quando lo scacciai da casa, sentiva nel cuore certo rimordimento di quella ingiuria; ma io vo’ dimandarli alcuna cosa per assicurarmene meglio). Ditemi, signor Guglielmo, quando vi partiste per Barberia, quanti danari vi portaste per commoditá del viaggio?

Guglielmo. Ducentocinquanta ducati, ché non potei complire trecento ché Avareggio, nostro parente, ne venne meno della parola.

Lelio. (Questi è mio padre certissimo, ché altri non avrebbe potuto saper questo). Perdonatemi, caro padre, se son stato tanto sciocco a non accorgermi prima... .

Guglielmo. Io non posso credere che cosí tosto crediate che sia vostro padre, perché tanti contrari eventi di fortuna mi fan chiaramente conoscere che mi conoscete per alcuni precedenti prodigi contro me.

Lelio. Del tutto ne è stato cagione un astrologo.

Guglielmo. Chi astrologo?

Lelio. Quando voi vi partisti da Napoli, promettesti Artemisia a Pandolfo; venuta poi la nuova della vostra morte, mi richiese Pandolfo della promessa fattali da voi. A tutti gli amici e parenti parea disconvenevole che ad un uomo di tanta etá se li dovesse attendere la promessa: ce la negai. Egli ha trovato un astrologo che gli ha promesso trasformare il suo vignarolo nella vostra effigie, e sotto il vostro nome entrar in casa e dargli la sposa promessagli; ma io essendo stato avisato dell’inganno prima, credendo scacciar il vignarolo ho scacciato voi.