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atto secondo 337

speranza di sperare, eccetto io che non ho che sperare se non nella morte come solo rimedio de’ miei mali.

Eugenio. Ah, signora, avendovi conosciuta sempre d’alto cuore, di gran fortezza e di eccelsa mente, come vi lasciate cosí vincere dal dolore?

Artemisia. Anzi, se mi amate, dovete piangere meco, ché quando duo amanti piangono le communi disaventure è uno sfogamento delle lor passioni.

Eugenio. Ma perché tanto affliggervi?

Artemisia. Primieramente temo che non m’amate.

Eugenio. Ahi, fiera stella, e come può cadere in voi cosí brutto pensiero se sapete certo che vi amo da dovere e il nostro amore è reciproco? E se potessi aprire il petto vedereste un tempio nel cui altare arde sempre il mio cuore in sacrificio dinanzi l’idolo della vostra bellezza, la qual è tale che fa stupire non solo il mondo ma l’istessa natura che vi ha creato, ornata poi di tanti mezi d’onori e di costumi, li quali gareggiano con la bellezza e giá si hanno acquistato li titoli di magnificenza. I vostri meriti sono tali che meritarebbono altro uomo che non sono io; ma perché conosco solo i vostri meriti, per il grande amore che li porto, mi par che possa meritarli.

Artemisia. Se cosí è, perché scorgo in voi tanta tepidezza in sollecitar le mie nozze? Voi sète d’accordo con Lelio mio fratello. Non vedete che l’indugio vi potrebbe apportar qualche disturbo?

Eugenio. Non considerate, signora, che ho un padre concorrente nell’amor mio? e se ben mi veggio in tante difficoltá e rispetti di mio padre, pur Amor non permette che cangi voglia. Il padre cerca privarmi di quello che mi si deve per amore; io ne prego e riprego vostro fratello, e dubito per la troppa importunitá di esserli molesto: avemo sofferto tanto, soffriamo un altro poco. Non è cosa da valoroso voler la corona e il trionfo prima che abbia combattuto: soffriamo, ché Amor ci coronerá del nostro soffrire.

Artemisia. Mio padre non vuol darmivi per sposa se egli non conseguisce da voi Sulpizia: vuol comprar l’amor di vostra