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atto secondo 331


Albumazzar. Ma avertite che, doppo fatta l’opra, vo’ la catena d’oro promessame per elemosina delle mie fatiche.

Pandolfo. Le cose son troppo care.

Albumazzar. Tanto le dolcezze d’amore saranno piú care, perché costono; né amore e avarizia stanno bene insieme.

Pandolfo. Orsú! prometto, doppo che avete trasformato il servo, donarvi quanto vi ho promesso.

Gramigna. (Diavolo, sazialo tu! dubito che il troppo chiedere non li faccia perdere il tutto).

Albumazzar. Or andiamo a fare l’elezione delle camere, poi datemi licenza che vada a prepararmi.

Pandolfo. Andiam presto, ché «il presto è il padron de’ negozi». — Vignarolo, non partirte di qua né dir parola ad uomo di quanto hai inteso, ancorché ci andasse la vita.

Vignarolo. E se mi uccidessi non mi partirei di qua, né se mi cavassi la lingua parlarei.

SCENA IV.

Cricca, Vignarolo.

Cricca. Vignarolo, che vai facendo?

Vignarolo. Castelli in aria.

Cricca. Di che cosa?

Vignarolo. Il padrone mi ha commandato che non lo dica ad uomo.

Cricca. Dillo a me che sono una bestia.

Vignarolo. No no: sai che da me son secreto; quanto or ci debbo essere che me l’ha commandato il padrone?

Cricca. Io non lo voglio sapere se bene mi pregassi.

Vignarolo. Se non lo dico, potrebbe essere che mi facesse una postema nel corpo e mi crepasse.

Cricca. Ma pure... .

Vignarolo. L’astrologo mi vuole transformare in Guglielmo: entrarò in casa sua, darò Artemisia per moglie al padrone e l’Armellina al vignarolo.