Pagina:Della Porta - Le commedie II.djvu/308

296 gli duoi fratelli rivali


Don Ignazio. Donque gli occhi miei vedranno un’altra volta Carizia, e aran pur lieto fine le mie disperate speranze?

Eufranone. O moglie cara, tu arrechi in un tempo nuove dolcezze a molti: tu pacifichi i fratelli, allegri il zio, dái dolcezza non al padre amorevole di colei ma a chi le fu rigido e inumano, e consoli tutta questa cittá.

Don Flaminio. Ma io come uscirò di tant’obligo? che grazie vi potrò rendere, essendo stato cagione di tante rovine?

Polisena. Rendete le grazie a Dio, non a me indegna serva! Egli solo ha ordinato nel cielo che i fatti cosí difficili e impossibili ad accommodarsi siano ridotti a cosí lieto fine.

Don Ignazio. Ecco che l’aria comincia a dischiararsi da’ raggi de’ suoi begli occhi! oh come il mio core si rallegra della sua dolce e desiata vita!

SCENA IV.

Carizia, don Ignazio, don Flaminio, Polisena, don Rodorico, Eufranone.


Carizia. Madre, che comandate?

Polisena. Conoscetela ora? v’ho detto la bugia?

Don Ignazio. O Dio, è questa l’ombra sua o qualche spirito ha preso la sua stanza?

Polisena. Toccala e vedi si è ombra o spinto.

Don Ignazio. O don Ignazio, sei vivo o morto? e se sei vivo, sogni o vaneggi? e se vaneggi, per lo soverchio desiderio ti par di vederla? Io vivo e veggio e odo; ma l’infinito contento che ho nell’alma mi accieca gli occhi, mi offusca i sensi e mi conturba l’intelletto, ché veggiando dormo, vivendo moro, ed essendo sordo e cieco odo e veggio. Ma se eri sepolta e morta, come or sei qui viva? o quello o questo è sogno. E se sei viva, come posso soffrir tant’allegrezza e non morire? O tanto desiato oggetto degli occhi miei, hai sofferte tante ingiurie insin alla morte, insin alla sepoltura; e or volevi finir la vita in un monastero!