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atto quarto 171


Lidia. Oimè, che subiti mutamenti son questi? questo è dunque l’amor che cosí caldamente dimostravate portarmi?

Cintia. Che mutamenti? che amor? io non so che vi dite.

Lidia. Non merita tali risposte quello che ho fatto per voi.

Cintia. Che cosa faceste voi per me mai?

Lidia. Eh, Cintio, non mi straziate piú di quello che sin qui fatto m’avete! Non so che volete da me: m’avete tolto la vita, l’onore e l’anima.

Cintia. Veramente che voi dovete sognarvi, dovete dormir incora.

Lidia. Piacesse a Dio che dormisse, piacesse a Dio che mai mi svegliasse o fusse morta mille anni sono per non udir quel che sento! E giá parevami che il cor mio presagesse questa disgrazia, ch’impossibil mi pareva che essendo cosí subito rivoltato ad amarmi, che s’avesse a scemar in me un punto. Il vostro è stato odio e non amore; ché avendo perduto con voi l’anima e il core, ben poco mi parea se non mi aveste fatto perder l’onore ancora.

Cintia. Io non so quello che vi diciate, e io ho altri garbugli per la testa che badar alle vostre ciancie.

Lidia. O dolor che avanzi tutti gli altri, o anima, o spirito mio, perché non fuggi da questo corpo tribulato? Non vi muove dunque la data fede?

Cintia. Che fede, che fede vi diedi io mai?

Lidia. Mi desti quella fede solo per ingannarmi sotto quella fede! Or che piú tradimento può ascoltarsi che tradir una povera feminella sotto la fede, o che piú agevol cosa d’usar fraude ad una donna, ad una che potevi sempre ingannar che volevi? che sapevi ben quanto t’amava e che voleva tutto quello che tu volevi, e che Amor m’avea bendati gli occhi che non sapea quel che facesse? Ah quanto rara si trova la fede negli uomini!

Cintia. So che se non mi parto di qua, che non saresti per finir tutto oggi.

Lidia. Un traditor perfido e disleale non potea rispondermi altro che questo: ora m’accorgo chi tu sei! Tu gentiluomo? tu perfido, barbaro e inumano! Ma o che io morrò o farò che ti sia