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atto secondo 139

ch’io sia lui tutto; e quando non possiamo essere insieme, egli se ne afflige quant’io, e quando vi ha sodisfatto, n’ha quel gusto che n’ho io.

Erasto. Veramente l’ho stimato cosí sempre, ma ho voluto saperlo di bocca vostra, padrona singulare. Attendo l’altra grazia che vi chiese — e perdonatemi tanta importunitá per dar questa importunitá al mio core: — che apriate il portello della gelosia che v’impedisce la vista, ché non mi lascia godere un tanto bene.

Cintia. Di grazia, signor mio, stendete la vista per la strada e per le fenestre, che non vi sia alcuno che stia spiando i fatti nostri.

Erasto. Non appar anima viva.

Balia. Amasia Amasia, presto presto! ché Cintio vi chiama che vostro padre vi cerca.

Cintia. Cor mio, perdonatemi. — Eccomi eccomi!

Erasto. O infelicissima mia disgrazia, mira a che ponto è stata chiamata! or non poteva tardar un altro pochino che l’avessi potuto mirar a mio modo?

SCENA VIII.

Dulone, Erasto.

Dulone. Padrone, se foste stato meco, avreste goduto la vista della vostra Amasia quanto avreste desiderato.

Erasto. Teh, e come?

Dulone. È stata ragionando col suo padre una gran pezza.

Erasto. Mira traditora bugia che ardisce dirmi! Come ora stava ragionando col padre, se ora stava ragionando meco?

Dulone. Alcun di noi sta fuor di sè. Dove voi avete ragionato con Amasia?

Erasto. In casa di Cintio, in quella finestra sovra la porta; nel por che tu facesti il piè nella strada, ella fu chiamata e partissi.

Dulone. Ed io nel por del piè in questa strada, l’ho lasciata che stava ragionando col padre su la fenestra in quel vicolo, e