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atto secondo 127


Erasto. Non vorrei turbarla o farle dispiacere, siché offesa nella fede o nell’onore si sdegnasse meco e non l’avessi a godere piú mai.

Dulone. Non è vostra moglie? non è per partorir tra poco? È bisogno che si sappia, o le piaccia o dispiaccia.

Erasto. Orsú, cosí son rissoluto di vederla a mio modo, e se non posso di giorno, di notte avendola in braccio: vo’ per forza portarla a casa, e seguane quel che si voglia, rovini il mondo, ancorché avesse a romper seco l’amicizia e uccidermi con Cintio.

Dulone. Concorro con voi in un istesso volere, e sol ciò ho voluto tutto oggi significarvi.

SCENA III.

Capitano, Pedofilo.

Capitano. Io penso che arai mille volte letto, Pedofilo mio padrone, per tanti scartafacci che Teseo rapí Arianna, Achille Briseida ed Ercole Pirene, e poi quanti fracassi ne sieno seguiti da queste rapine. Io di questi Teseunculi, Achillini ed Erculetti ne porto le centinaia attaccati per stringa; or pensa che arei fatto per Amasia tua figlia, di che ne sto cotto e spolpato. Ma Amor, che doma i leoni, le tigre e i ferocissimi animali, mi mitiga l’orgoglio e rammorbidisce il mio rabbioso sdegno. Onde per lei ho dismesso mandar popoli a fil di spada, cittá a sangue e fuoco e far balzar castelli per aria con le mine e altre opre da stragi; e vo’ piú tosto con amorevoli persuasioni conseguire il mio intento che venir alla forza. Però mi meraviglio non poco di te che a concederlami ne stia cosí restivo.

Pedofilo. (Io non vidi in mia vita giamai il piú bugiardo vantatore, timido e impastato di mala creanza, di costui: oh che venerabil bestia!). Mi meraviglio di voi che me la dimandiate.

Capitano. Anzi vo’ che abbi a sommo favor di darlami: ho cento gentildonne principali, principesse e regine che me ne pregano, perché di pari miei pochi se ne trovano nel mondo.