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106 la cintia


Balia. Hai fatta la faccia rossa e vergognosa come fusse una vergine.

Cintia. Potrebbe essere che la vergine l’avessi in corpo.

Balia. Lascia tanta vergogna, togli a un tratto la maschera.

Cintia. Se lasciassi la maschera, ella subito lasciarebbe di amarmi, perché mi riconoscerebbe per quel ch’io sono.

Balia. Ti priega d’un favore: di poterti narrare a bocca, da solo a solo, gli affanni suoi, perché arebbe speranza che ti moveresti a pietá di lei; e per non comportar ciò lo stato d’una donzella, vorrebbe sicurtá da te di non far alcun oltraggio all’onor suo.

Cintia. D’ogni cosa potrebbe di me temere fuorché d’esserle fatto oltraggio all’onore; e assicurala che starebbe con me come se stesse con una sua sorella. Orsú, mi parto, adio.

Balia. E io vo’ andar a chiesa a far compagnia a Lidia fin a casa. Ma veggio Amasia sua amica dalla fenestra che mi fa segno.

SCENA III.

Balia di Lidia, Amasio sotto abito di donna.

Amasio. Balia balia, dove sei avviata?

Balia. Alla chiesa: ché mentre Lidia sta ascoltando la messa, m’ha imposto che le facessi un servigio qui presso; e torno ora a lei.

Amasio. Aspetta un poco, di grazia, ch’io cali giú, che mi facci compagnia alla medesima chiesa per ragionar un poco con Lidia e per ascoltar ancor io la messa.

Balia. (Io non ho visto ancora a’ miei giorni una donna amar un’altra donna come fa costei Lidia: ché se fosse uomo, direi che fusse guasto dell’amor suo).

Amasio. Balia, se t’indovino il servigio che Lidia t’ha inviato a fare, m’accetterai tu la veritá?

Balia. Accetterò da vero.

Amasio. Qualche ambasciata a Cintio, eh?

Balia. Quello istesso.