Pagina:Della Porta - Le commedie I.djvu/81


atto quarto 71

è ch’io viva! O Cleria, io ti perdo, senza ch’altri me ti toglia; e sendo in casa mia, onde niuno mi caccia, è forza che ti lasci e abbandoni. Per esser tu troppo congionta meco, è forza che da te mi disgiunga. O leggi, o costumi umani a me contrari! S’armano contro me le leggi e i costumi de gli uomini. O madre, che amara novella m’hai tu data! o quanto piú grata mi saresti, se conceputo non m’avessi o generato in questa vita, overo uccisomi nella cuna. Che obligo debbo averti della vita, che m’hai data, se con una amara nuova mi togli la vita e l’anima insiememente? Goditi, madre, la tua figliuola nuovamente acquistata, e lascia che il tuo figlio vada tapinando per il mondo, senza suspetto che tratti piú mai con la sorella.

Constanza. O che disgrazia è la mia! pensava dar allegrezza alla mia casa, e sono stata istrumento e ministra di crudel ufficio. Mi pensava che scampata dalla servitú di genti barbare e ricovratami nella mia casa, avesse vissuto il restante della mia vita, felicissima. Ma sarebbe stato per me meglio, che fusse restata in man de’ turchi, povera vecchia e disgraziata, e non fosse qui venuta spettatrice d’una miserabil tragedia. Ahi, che non è cosa stabile o felice sotto le stelle! Figlio, era mia intenzione darvi piacere e non disgusto.

Trinca. Padrona, andate su e non fate penar vostro marito in aspettarvi. Ecco il compagno dell’allegrezze e de gli affanni vostri.

SCENA VI.

Erotico, Attilio, Trinca.

Erotico. Attilio mio, che rammarichi son i tuoi? Qual sí grave accidente ti tien l’animo cosí occupato, che t’ha trafigurato il sembiante? Voi tacete? forse non è cosí grave il dolor vostro?

Attilio. Tal, che men grave non può trovarsi. La fortuna opra cose impossibili, ma possibili per farmi misero.

Erotico. Deh, narratemi la cagione.

Attilio. Deh, lasciami accompagnato dalla mia miseria, ché viva in quella, poiché cosí comanda la mia disgrazia; e non vogliate saperla.