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ATTO V.

SCENA I.

Pedante, Antifilo, Limoforo.

Pedante. Delibúto d’un insueto e subitaneo gaudio dell’insperato successo, sento la mia persona eliquarsi in lacrime, che son quasi prolapso in una epilepsia d’allegrezza, talché sono inabile a soccombere al peso; poiché senza dispendio e senza aver a far scrutinio d’un marito probo per collocare Altilia mia, l’ho restituita al genuino suo padre. La donna in casa è un certuni malum e una verecundia incerta.

Limoforo. Di grazia, fatemi partecipe di tanta vostra allegrezza.

Pedante. È venuto il padre d’Altilia mia: ce l’ho restituita e son evaso da un tanto discrimine.

Antifilo. Dunque, Altilia non è vostra figlia?

Pedante. D’amor si bene, ma da me non ingenita.

Limoforo. E come venne, ditemi di grazia, in poter vostro?

Pedante. Vi dirò laconice, con brevi parole ma succiplenule. Venne in Salerno, fuggendo il grassante contagio napolitano, una pedissequa ch’avea prestato il latticinio ad una puerula di facie spectanda et nsuper iucunda, la quale abitava nella mia vicinia. Io circumspectando questa virguncula con uno inflexo et pertinace obtúto, la scorgeva d’una modestosa e maestosa indole. Eran le parti del suo corpo con una suprema eleganzia armonizate. Resideva negli occhi sui una coruscante luce siderea con certi igniculi vivaculi spirantino l’eleganzia del suo ingegno. Le guancie eran di latte, invermigliate di purpuree rose. Vernavano nel volto i flosculi della sua futura pulcritudine. Era