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atto quarto 373


Pseudonimo. Cose d’importanza; né posso dirlevi se non ho prima piú certa informazione della sua grandezza e mirabil sua sapienza.

Pedante. (Costui è un gran rettorico, perché al principio capta la benevolenza con le lodi). Non vedete la digna imperio facies? la mia maestosa presenza? e che tutti cominus et eminus mi riveriscono?

Pseudonimo. O amatissimo e venerabil Tito Melio Strozza gimnasiarca! In quanto obligo mi trovo: mi trovo in un obligo obligatissimo, obligato in modo senza potermene sciorre.

Pedante. Die, quaeso, di che cosa?

Pseudonimo. Che senza altra richiesta m’avete raccolta e allevata una mia figliola, e con tanta diligenza e dottrina che non averei potuto allevarla io che le son padre.

Pedante. Chi sète voi?

Pseudonimo. Per non tenervi a bada, io son Limoforo, padre di Aurelia che voi m’avete nodrita.

Pedante. Voi, voi Limoforo?

Pseudonimo. Io, io Limoforo al vostro servigio.

Pedante. Di che cognome?

Pseudonimo. De’ Pignattelli.

Pedante. Quanto tempo è che la perdeste?

Pseudonimo. D’intorno a dicisette anni.

Pedante. Di che etá era la figliuola?

Pseudonimo. Di tre anni incirca.

Pedante. Avea alcun’altra donna al suo famulizio?

Pseudonimo. Una sua balia chiamata Lima.

Pedante. Voi come la perdeste?

Pseudonimo. Nel tempo della peste di Napoli, io appestato con la mia moglie e figli fummo portati al lazaretto a San Gennaro, dove morí mia moglie e il figlio, e restò la casa sola; e la balia, per timore che non sortisse la medesima sciagura, se ne venne a Salerno.

Pedante. Come sète stato tanto tempo a non cercarla?

Pseudonimo. Come fui guarito, tornai a casa e la trovai tutta svaliggiata. E perché non era ancor la peste estinta, andai