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atto secondo 331


Pedante. N’hai del cecubo di Pozzuolo, dell’amineo di Vesuvio e del razente de’ monti Falerni?

Cappio. Aspette ne poche a io, che te porte le falanghine de Pezzulle, greco vesuviano e del trebiano.

Pedante. Nomina desinentia in «ano» maximam dulcedinem significant et mihi summopere placent. Andiamo per i supellettili.

Lardone. Come posso partirmi, se queste porchette infilzate mi tengono incatenato, né posso distaccar la vista da questi salami, pollami? lasciatemi far un altro poco l’amore.

Pedante. Dii talem avèrtite pestem, o sarcofago, o lupus luporum, o asine asinorum!

Lardone. Io asino e tu un bue, siamo bene accoppiati!

Pedante. Tabernarie, io non cerco lauti obsòni né tanti pulpamenti, ché non ho quadranti da spendere. Una cena frugale.

Cappio. Tas teich Gotz: te venghe le cancarelle, volere essere fregate!

Lardone. Oste, al tornar mi farai trovar apparecchiato un piatto di ravioli e di maccheroni strangolatori, tanto l’uno. Per Altilia uno di questi salsicciotti, che non è avvezza a mangiarne ancora. Tu, Lima, attáccati a questi salsiccioni, che so che ti piacciono.

Lima. M’appigliarò al tuo consiglio.

Cappio. Tutte cheste cose trovare apparecchiate.

Lardone. Ma sopratutto il presto sia in capo della lista, che importa piú di tutto; ché non è peggio aver fame e stare aspettando a tavola. Se ci farai una minestra di trippa grassa, mettici della menta e zaffarano; che se per disgrazia non fosse ben netta e sentisse della madre, se è verde, abbiamo iscusa che sia la menta, se gialla, il zaffarano.

Cappio. Tornare presto a cca.

Lardone. Quelle groppe pelate e grasse di quei capponi mi farebbon volare, non che trottare, e m’han posto in tanto appetito che sarei per mangiarmele crude.

Pedante. Andiamo, che fai?

Lardone. Oste, riempi il ventre di questa porchetta di ficedole, tordi e altri uccelletti che, aprendo il ventre, si cavino