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SCENA III.

Essandro, Gerasto.

Essandro. Padrone, questo è quel marito che volete dar a Cleria?

Gerasto. Sí.

Essandro. Oimè, che bestiemma avete detta! o che galante, ricco, dotto e bel giovane che dicevate questa mattina! Questi è un ospedal di cancheri! Povera signora, che non fusse mai nata!

Gerasto. Perché?

Essandro. Perché piú brutto mostro si potrebbe veder in terra? anima puzzolente, a cui con la sola vista non potria mover vomito?

Gerasto. È ricco.

Essandro. Altro ci vuole.

Gerasto. Non le fará mancar da mangiare.

Essandro. Né questo le manca in casa sua.

Gerasto. E perché è un poco infermo, non gli dará tanto fastidio.

Essandro. Le moglie vogliono questi fastidi.

Gerasto. Dargli poca dote è pur buona cosa.

Essandro. Per non scemar voi la vostra borsa, volete far sempre star vôta quella di vostra figlia. Certo che sotto dura e ingiustissima legge nascemo noi povere donne: se lo marito ha la moglie brutta, se la cangia a sua voglia; e se la moglie fa qualche scappata, subito il coltello alla gola!

Gerasto. L’ará portato un bel presente.

Essandro. Quel pendente che ha fra le gambe, deve essere il bel presente.

Gerasto. Certo ch’io non lo stimava cosí difforme, ché non l’arei fatto venire e, se posso con onor mio, lo farò tornare a dietro.