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atto primo 205


Essandro. Anzi piú m’amaresti, se mi conoscessi.

Cleria. Come non ti conosco? cosí tu conoscessi l’amor che porto a tuo fratello, ché trovaresti modo di darmi qualche rimedio.

Essandro. O Dio, che non è cosa che piú desii al mondo, che darti questo rimedio.

Cleria. Se ben tu dici cosí, pur ben m’accorgo non essere amata quanto merita l’amor mio. Perché se pur alcuna volta passa per qua, lo veggio cosí timido e sospettoso, cosí celato il viso nella cappa che par che dubbiti di qualche tradimento; e quanto può piú presto, da qui si parte, il che mi dá tanto dolore quanto è l’amor che li porto.

Essandro. È giovane, signora: questo è il suo primo amore. Vorrei io esser lui, ché conoscendo quella bellezza che in voi singular si scuopre, i divini costumi e l’onestá, sí ricco tesoro di grazie, mi terrei felicissimo; quando una sol volta fussi mirato da voi, saresti osservata e riverita da me, qual si conviene al vostro merito.

Cleria. Mi vergogno non essere come tu dici, solamente per piacergli. Ma se tu fossi lui e t’accorgessi ch’altri ti amassi e si struggesse per te, faresti come gli altri uomini, cominciaresti a star in contegno, far del re e alzaresti la coda.

Essandro. Avete il torto, signora, far questa stima di me, che non alzarei piú la coda di quello che fo al presente o feci per lo passato.

Cleria. Dunque, poiché t’è cosí aperto e nudo il cor mio come la fronte, perché non gli manifesti quanto l’amo?

Essandro. Anzi, egli si duole di me che non gli manifesti il suo amore: alfin, io sarò la cagione d’ogni male.

Cleria. Anzi, la radice e fonte d’ogni bene. Va’ dunque, Fioretta mia, e digli che avendomi comandato che volea ragionarmi, ecco ch’io sono apparecchiata; ...

Essandro. Andrò volontieri.

Cleria. ... ch’io piango e ch’io muoio... .

Essandro. Sará fatto...

Cleria. ... E se m’ama, che venghi presto... .