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atto quinto 179

uscocchi depredando i lidi della Schiavonia, da una villa dove io abitava mi tolsero una giovane bellissima; e mi fu riferito che la vendero in Napoli per ducento ducati ad un mercadante di femine, detto Mangone.

Mangone. È vero; e si chiama Melitea.

Isoco. Non, no: quella si chiamava Alcesia.

Mangone. Ho inteso ben dir da lei che si chiamava Alcesia; ma allora che la comprai, si chiamava Melitea.

Isoco. Che n’è di questa giovane?

Mangone. Di questa giovane ragioniamo ora, che sotto nome di costui m’è stata sbalzata da casa.

Isoco. Sappi che quella Melitea, che tu dici, è donna libera e gentildonna cristiana e non schiava; è figlia di un napolitano molto ricco e importante.

Mangone. Fusse alcuna altra trappola ordita tra voi, per rubbarmi alcuna altra cosa?

Isoco. Sappi che a questo effetto son venuto qui in Napoli, per saper nuova di suo padre, se sia vivo o morto; e qui non son per tòrti alcuna cosa, anzi per giovarti: ché ritrovandosi lei e suo padre, sarai per averne una buona mancia. Ma, di grazia, sapete voi s’ella si ricorda del nome di suo padre?

Mangone. Di suo padre no, ma ben d’un suo balio detto Isoco, e d’una sua balia detta Galasia.

Isoco. Io son Isoco, e mia moglie, giá morta, era detta Galasia. Ma oh, piaccia a Dio ch’essendo venuto qui per un fatto che non pensava espedirlo in un anno, lo spedissi in un giorno e liberassi l’anima di mia moglie e la mia da cosí fatta angoscia! Io vo’ venir teco per saper nuova di costei, e ritrovata, so che ti sará di non poco utile.

Mangone. Pur che mi sia utile, eccomi pronto a far quanto comandi.

Isoco. Di grazia, lasciamo il padron della nave che vada per i suoi affari, ché quando saprai ch’egli abbia errato in alcuna cosa di quel che ti duoli di lui, io voglio rifar il danno.

Raguseo. Isoco, a dio.