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atto terzo 143


Filace. Ca..., canchero, che m’avesti a far dire una mala parola! Voi donne non vi contentate del giusto mai, sempre inchinate al troppo: se vi si concede un dito, ve ne togliete un palmo. Poco anzi, con gli occhi bassi come se volesse nasconder il volto sotto le ciglia; ma ora lo schiavo l’ha fatta alzar la testa e star di buona voglia.

SCENA IV.

Mangone, Panfago.

Mangone. Potrete far ben libero conto, d’oggi innanzi, che la casa sia piú vostra che mia o almanco commune.

Panfago. Veramente farò cosí, poiché voi altresí mi avete liberamente promesso servirvi della nostra in Raguggia; faremo ragione insieme: noi vi condurremo delli schiavi e voi li venderete, e saranno fra noi le perdite e i guadagni communi.

Mangone. Mi contento d’ogni vostro contento.

Panfago. Ma vo’ che non mi neghiate una grazia.

Mangone. Eccomi all’obbedire.

Panfago. A verno alcune cosette in nave, come frutti della nostra patria, cioè alcuni barilotti di malvagie, bottarghe, provature, formaggi, confetti e simili frascherie; ve ne farò parte: vorrei che le riceveste con quello amore che ve le porgiamo, non avendo riguardo al lor poco valore.

Mangone. Come non le riceverò con buon animo? ne terrò continua memoria della vostra amorevolezza; vo’ darvi alcuni miei schiavi che vi aiutino a portarle.

Panfago. Non accade incomodarvi per ciò: in nave non mancheranno bratti che or ora le porteranno qui.

Mangone. Andate in buona ora; e se non avete quella amorevolezza, in casa mia, che meritate, perdonatemi.

Panfago. Se bene è stata ogni cosa eccellentissima, il miglior è stata la buona volontá. A dio.

Mangone. Non è poco l’aver trovato in costui tanta cortesia; perché tutti gli uomini del dí d’oggi son piú tosto di levante