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ATTO I.

SCENA I.

Pirino innamorato, Forca suo servo.

Pirino. Avea inteso dir mille volte che i seguaci d’amore erano il riso, il diletto, il gioco e tutte insieme le compite dolcezze. Misero me, che provo tutto il contrario; ché le malenconie, i noiosi pensieri, le fatiche, i disagi, i sospetti e le gelosie sono i suoi perpetui compagni: e veramente, chi le pruova conosce che queste sono vere e l’altre imagini di dolori.

Forca. Buon dí, padrone.

Pirino. O Dio, che amara compagnia m’han tenuto questi tutta la notte! ho desiato il giorno per ragionar con Forca, il mio servo, d’un mio sospetto, né posso ritrovarlo; oh, sei tu qui? t’ho chiamato tutta questa mattina.

Forca. Anzi v’ho risposto prima che voi mi chiamaste. Ma or con chi ragionate?

Pirino. Con meco.

Forca. Chi è questo meco? guardatevi che non sia qualche mal uomo.

Pirino. Dico: «meco», con me medesimo.

Forca. Dunque voi e meco son due persone?

Pirino. Non t’ho detto tante volte che l’anima mia non è dove ella abita, ma dove ama? avendo io l’animo fisso nell’amato oggetto, resto col corpo abbandonato senza anima; or ch’era ritornata al suo luogo, ragionava con lei.

Forca. Conosco che siate innamorato e malamente, perché sempre avete in bocca l’amato oggetto, andate parlando solo